Arco dei Fileni
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Una delle opere più apprezzate della colonizzazione italiana della Libia fu la Litoranea Libica o Via Balbia, una strada lunga 1.882 chilometri che congiungeva, su territorio libico, il confine egiziano a quello tunisino. Larga sette metri, con la presenza di numerosi ponti, la litoranea godeva dell'assistenza di 65 case cantoniere, dove abitavano stabilmente due famiglie in due appartamenti dotati ognuno di cinque stanze.

Questa imponente opera era caratterizzata dalla presenza di un monumentale Arco che era posto in un luogo assai significativo. Sallustio, storico dell'antica Roma, narrava nel «De Bello Iugurtino» che i Cartaginesi e i Greci di Cirene volevano delimitare il confine fra i territori delle rispettive civiltà e che riuscirono ad accordarsi su come farlo in modo non violento: con una gara podistica. Così ogni contendente mise in campo non strumenti bellici ma i rispettivi migliori podisti: Cartagine incaricò i fratelli Fileni, due corridori che partirono di corsa verso oriente nel medesimo giorno ed alla stessa ora in cui da Cirene i due migliori podisti cirenaici partivano verso ovest.

Quando le due coppie di atleti si incontrarono apparve subito evidente che i Fileni avevano percorso una distanza quasi doppia rispetto ai loro concorrenti, ragion per cui i due fratelli cartaginesi vennero accusati di avere barato. Questi, per testimoniare la loro sincerità e onorabilità, si dichiararono pronti ad essere sepolti vivi sul posto. E così avvenne.

Sul luogo del loro sacrificio, che divenne il confine tra la Tripolitania e la Cirenaica, Italo Balbo, governatore della Libia dal 1934 al 1940, eresse un gigantesco arco. Sul monumento, inaugurato il 16 marzo 1937, campeggiava la scritta "ALME SOL, POSSIS NIHIL URBE ROMA VISERE MAIUS" «O almo Sole, tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggiore di Roma», frase tratta dal "Carmen saeculare" di Orazio.

Il monumento divenne anche punto di riferimento per i piloti in quanto si stagliava con la sua altezza in mezzo al piatto deserto.