Africa Orientale
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Cassala

  

Inizio delle operazioni

La conquista dell’Eritrea italiana

La battaglia di Cheren

La Somalia italiana

Etiopia

Amba Alagi

Le ultime resistenze

 

 

Il 10 giugno 1940, il Regio Esercito Italiano contava in Africa Orientale oltre 90.000 uomini nazionali e circa 200.000 coloniali ma soltanto 24 carri medi, 35 carri leggeri, oltre cento vecchie autoblindo e pochi pezzi di artiglieria moderni. Il parco automobilistico era formato da 5.300 autocarri e 2.300 autovetture.

La Regia Aeronautica disponeva di 325 aeroplani ma in realtà soltanto 183 risultavano disponibili per la linea di volo, con 61 apparecchi di riserva in magazzino e 81 in riparazione.

Nelle acque del Mar Rosso e dell’ Oceano Indiano, infine, la Regia Marina aveva dislocato 8 sottomarini e 20 navi tra cacciatorpediniere e naviglio leggero.

 L’Esercito Inglese disponeva nei territori confinanti con la nostra colonia di un numero di uomini decisamente inferiore al nostro:

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25.000 uomini dislocati nel Sudan.

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35.000 uomini nel Kenya

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1.500 nella Somalia britannica

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1.000 uomini componenti due battaglioni indiani rinforzati dislocati ad Aden

Oltre a queste truppe regolari continuavano ad essere presenti in Etiopia bande di ribelli delle quali non si possono fornire dati precisi.

 

Inizio delle operazioni

La prima azione offensiva del Regio Esercito avvenne alle prime luci dell’alba del 4 luglio 1940 con obiettivo Cassala, nodo carovaniero in territorio sudanese, a 20 Km dalla frontiera. Il contingente italiano, composto da due brigate coloniali (4.800 uomini ca.), 1.500 cavalleggeri, le Penne di Falco e 24 carri, trovò un timido tentativo di difesa da parte di 300 uomini della Sudan Defence Force con una trentina di autocarri.

La carica delle Penne di Falco nelle operazioni per la conquista di Cassala

Il nostro dispositivo di attacco si articolò su tre colonne e dopo una piccola scaramuccia sul fiume Gasc, che costò al nostro esercito una quarantina di vittime, entrò in Cassala.

Più a Sud il 4° Gruppo Bande Armate di frontiera occupò Kurmuk il giorno 8 mentre il 14 altre bande coloniali si impadronirono di Ghezzan. Sempre in questo periodo altri nostri gruppi armati si impossessarono nel confine con il Kenya di Mojale e del saliente del Mandera.

Forte Harrington presso Moyale in Kenia

All’inizio di agosto, il Duca d’Aosta, comandante delle forze italiane in Africa Orientale decise l’offensiva contro la Somalia inglese, un territorio sabbioso che si affacciava sul Golfo di Aden con i suoi due porti di Berbera e Zeila.

Le truppe italiane, comandate dal generale Nasi, il 3 agosto iniziarono l'avanzata. Erano composte da tre battaglioni di fanteria metropolitana, quattordici di fanteria coloniale, due gruppi di artiglieria e una manciata di carri leggeri e medi. A contrastarne l’avanzata i comandi inglesi schierarono, agli ordini del generale di divisione Godwin Austen, un battaglione britannico, iI reggimento scozzese detto “Black Watch”, due battaglioni indiani e due battaglioni dell’ Africa Orientale.

Il nostro contingente si frazionò subito in due colonne: una raggiunse in pochi giorni la frontiera con la Somalia francese bloccandone la guarnigione che la presidiava, l’altra impiegò due giorni per raggiungere Hargeisa dove sostò tre giorni permettendo così all’esercito inglese di approntare le difese a Tug Argan, un passo nella catena montana per il quale passava la sola strada per Berbera. Qui, il giorno 11, la nostra offensiva registrò una netta battuta d’arresto di fronte a questo munitissima posizione formata da sei alture che dominavano la strada sottostante: dopo un pesante bombardamento da parte delle nostre artiglierie una brigata andò all’attacco di un’altura tenuta dal III battaglione del 15° reggimento Punjab. I nostri soldati riuscirono a conquistare la posizione e a mantenerla anche dopo due violentissimi contrattacchi indiani. Altre alture, nella giornata, furono attaccate ma non conquistate.

Il giorno successivo i combattimenti continuarono senza ulteriori cambiamenti: si combatté per altri tre giorni sostenendo il peso di continui attacchi frontali senza mai prendere in considerazione la possibilità di un aggiramento.

Cartina delle operazioni per la conquista del Somaliland britannico

In assenza di ulteriori rinforzi e con la possibilità di essere accerchiati dalle truppe italiane, il corpo inglese decise di ritirarsi ed evacuare da Berbera via mare. Le nostre truppe entrarono in Berbera il 19 agosto trovandola priva di truppe.

 

La conquista dell’Eritrea italiana

Nel novembre del 1940 l'iniziativa nelle operazioni passò in mane inglesi: il 6 novembre, dopo un duro bombardamento aereo, fu prima attaccato e conquistato il forte di Gallabat mentre quello di Metemma resistette, dando così iniziò alla controffensiva italiana che portò alla riconquista del primo forte.

È nel gennaio 1941 che iniziò la vera e propria offensiva inglese contro l’AOI. Il generale Platt decise di attaccare sul fronte di Cassala avendo a disposizione la IV e la V divisione di fanteria indiana.

Le truppe italiane, 17.000 uomini, si disposero sulla linea Cherù – Aicota. Il giorno 20 la IV Divisione indiana attaccò il nostro dispositivo di difesa con l’appoggio di mezzi blindati e artiglierie. Dopo tre giorni di aspri combattimenti le nostre truppe respinsero tutti gli attacchi dei reparti inglesi sia sulla direttrice di Cherù che su quella di Aicota, ma l'ordine del ripiegamento su Agordat fu fatale: le truppe inglesi riuscirono ad attaccare separatamente le due colonne in ripiegamento: la colonna di Cherù, dopo essere stata dissanguata dall’attacco, dovette sostenere durissimi combattimenti presso Agordat tra il 27 e il 31 Gennaio, ripiegando in un secondo momento su Cheren; l’altra colonna, quella di Aicota, dovette distruggere tutto il materiale dopo essere stata isolata.

A Sud anche il caposaldo di Berentù venne abbandonato e le truppe ripiegarono su Cheren.

 

La battaglia di Cheren

Cheren era una delle posizioni meglio difese nel territorio eritreo. Unica porta di accesso ad Asmara e al porto di Massaua sorge a quota 1400 metri nel mezzo di una vasta e fertile pianura circondata da montagne. Gli ultimi Km della strada che portano alla città passano in una angusta gola sovrastata da undici cime alte oltre 600 metri, ognuna delle quali venne trasformata in una munita posizione difensiva. Questa battaglia, fondamentale per le sorti dell’intera campagna e per il destino della stessa colonia, ebbe inizio il 2 febbraio 1940.

Le nostre unità di difesa, al comando del Generale Carnimeo, erano così organizzate:

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11° Granatieri di Savoia comandato dal colonnello Corsi,

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11° Brigata coloniale

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IV Gruppo di cavalleria coloniale

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104° Gruppo di artiglieria

Queste truppe impegnarono i britannici in 56 giorni di combattimenti furenti e sanguinosi che entrarono nella leggenda del nostro esercito.

I primi tentativi inglesi furono intrapresi dalla IV Divisione indiana all’alba del 3 Febbraio: Sanchill, BrigsPeak e Cameron Ridge, la famigerata quota 1616, furono assaltate a più riprese ma i contrattacchi italiani riportarono la situazione in equilibrio. Lo stesso Platt, in questi frangenti, si rese conto di quanto la partita si sarebbe rivelata durissima da vincere.

Il giorno 7 fu la volta della V Divisione indiana che sferrò un massiccio attacco sulla destra della gola presso il colle di Aqua Col: nonostante il terreno impervio e le condizioni ambientali, la quota fu conquistata ma, in seguito a contrattacchi feroci, le truppe italiane riuscirono a riconquistarlo.

Il 10 Luglio le truppe inglesi attaccarono nuovamente in entrambi i settori cercando i medesimi obiettivi degli attacchi precedenti: BrigsPeak, Aqua Col e Victoria Cross furono prese e perse e ogni volta il prezzo da pagare fu altissimo per entrambe le parti in lotta. La situazione si cristallizzò fino a metà del mese di marzo quando inaspettatamente le due divisioni indiane ritornarono all’assalto. La IV ebbe come obiettivo il settore sinistro mentre la V avrebbe dovuto occupare Dologorodoc sulla parte destra. L’attacco, preceduto da un violentissimo bombardamento di preparazione, anche in questa circostanza non fece registrare particolari progressi. Furono giorni di combattimenti sanguinosi, all’arma bianca, sasso dopo sasso, quota dopo quota. Il 20 marzo gli Italiani furono ridotti ad un terzo delle loro truppe mentre gli Inglesi continuarono a ricevere rifornimenti.

La notte del 25 iniziò quella che sarebbe stata la fase conclusiva della più grande battaglia dell’Africa Orientale: dopo la conquista del Dologorodoc le truppe inglesi attaccarono il Sanchil. Alle 4 ebbe inizio la preparazione dell’artiglieria sulle quote 1407 e 1341, seguite dai reparti di fanteria:

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la IV Divisione, ripartita su più colonne attaccò le posizioni italiane sul Sanchil e punta Forcuta;

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la V Divisione piombò invece sulle due quote bombardate per travolgere le difese anticarro.

Posizioni italiane sul Dologorodoc occupate dai britannici

L’attacco ebbe successo: alle nove del mattino gli alpini dell’Uork Amba furono sopraffatti e dovettero arretrare, nonostante ciò si continuò a combattere per tutto il 26 e 27 con il generale Carnimeo sempre in prima linea a combattere ed a incoraggiare i propri uomini. Fu il generale Frusci a diramare l’ordine di ritirata che fu effettuata in un ordine quasi perfetto.

In otto settimane di combattimenti gli Italiani ebbero oltre 3.000 caduti: i battaglioni nazionali furono ridotti a poco più di 400 uomini ciascuno; oltre a ciò andarono perduti 120 cannoni. Le truppe inglesi dovettero registrare 560 morti e oltre 2.500 feriti.

Dopo la sconfitta di Cheren ormai anche la fine della nostra colonia d’Eritrea è segnata. La strada per Asmara fu aperta. L’ultimo tentativo di difesa venne portato dal generale Carmineo ad Ad Teclesan ma i nostri scarsi mezzi furono presto soverchiati da quelli del West Yorkshire. Alle 1030 del 31 marzo avviene la fine ufficiale della colonia d’Eritrea. Massaua intanto continuò a resistere fino all’8 Aprile quando in seguito ad un ennesimo attacco l’ammiraglio Bonetti si arrese al generale Heath. Con lui capitolarono anche 9.600 uomini e 127 cannoni. La campagna d’Eritrea poté dirsi ufficialmente conclusa.

 

La Somalia italiana

In Kenya, agli ordini del generale di corpo d’armata sir Alan Cunningham, fratello minore dell’ammiraglio comandate la squadra navale nel Mediterraneo, gli Inglesi avevano accresciuto le loro forze. Nel novembre del 1940,data un cui assunse il comando, disponeva della XXII Divisione africana comandata da Godwin – Austen composta da:

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I Brigata sud africana

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XXII Brigata est africana

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XXIV Brigata della Costa d’Oro

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XI Divisione africana

Considerate le impellenti necessità del fronte libico di uomini e mezzi, si decise di anticipare l’offensiva per il mese di febbraio 1941. Il 10 febbraio, in seguito ai pesanti bombardamenti dell’aeronautica sudafricana, la città di Afmadu venne abbandonata dalle truppe italiane tanto che il giorno 11 i sudafricani fecero il loro ingresso in una città ormai abbandonata.

Contrariamente alle idee del Duca d’Aosta, che avrebbe voluto concentrare le nostre forze a Chisimaio e a Dolo, le cui difese vennero perfezionate nel corso degli anni proprio per questo genere di attacchi, il generale De Simone, comandante le truppe in Somalia, decise di abbandonare Chisimaio per cercare di resistere il più a lungo possibile sulla linea del fiume Giuba. La mattina del 14 Gobuin, 130 Km a sud – est di Afmadu e a soli 15 Km a nord di Chisimaio, venne conquistata, mentre nel tardo pomeriggio fu la XXII Brigata dell’ Africa orientale ad entrare nella città portuale di Chisimaio in cui la trascurabile resistenza italiana non creò alcun problema e nemmeno vennero inflitti danni alle strutture portuali.

Gli Italiani si attestarono quindi sulla sponda del fiume Giuba di fronte alla divisione sudafricana a Gobuin cercando di resistere, distruggendo tutto i passaggi per l’altra sponda. Ma la scarsità delle acque del fiume, rese semplice il passaggio delle truppe inglesi che riuscirono ad attraversarlo poco più a monte. Nonostante il feroce contrattacco, la testa di ponte riuscì a conservare la posizione permettendo ai rinforzi di affluire numerosi. Dopo alcuni giorni di combattimenti i Sudafricani riuscirono a controllare un largo tratto di fiume tanto che con una rapida puntata verso nord si unirono alla brigata della Costa d’Oro che traversò il fiume 130 Km più a monte.

Le nostre truppe, già provate, dovettero anche fronteggiare la defezione di molti reparti etiopi e somali che con il passare dei giorni abbandonarono le nostre fila.

La sorprendente facilità di questa conquista indusse i vertici inglesi a continuare nell’avanzata per scacciare definitivamente dalla Somalia gli Italiani e per utilizzare come base di lancio questa terra per invadere anche l’Etiopia da sud–est.

Il giorno 22 anche la posizione del generale Gazzera sul fiume Giuba fu conquistata e la strada verso Mogadiscio fu spalancata alla rapida avanzata delle truppe di Cunningham. La XXIII Brigata della Nigeria, appena trasferitasi dal Kenya coprì i 400 Km da Gelib a Mogadiscio in tre giorni.

Saranno proprio questi reparti ad entrare per primi il 25 Febbraio a Mogadiscio accompagnati dal suono delle immancabili cornamuse. Nella città il porto fu occupato praticamente intatto. La XXI Brigata dell’ Africa orientale e la XXIV della Costa d’Oro si occuparono del rastrellamento delle truppe italiane mentre le altre si preoccuparono della ormai imminente azione contro l’ Etiopia.

 

Etiopia

 Dopo l’inaspettata conquista di Mogadiscio il generale Cunningham decise di proseguire nella sua avanzata per occupare l’Etiopia italiana.

Le truppe del generale De Simone in fuga furono inseguite dall’XI Divisione africana del maggiore generale Wetherall. Ad essa furono aggregati il 1° raggruppamento sudafricano e la XXII Brigata dell’ Africa orientale. Gli Italiani, dopo la fuga da Mogadiscio, decisero di dirigersi verso Giggiga ad oltre 900 Km tra le pianure somale e le vette etiopi. In questa zona montuosa la strada si inerpica fino a quota 3000 metri di altitudine. La rincorsa inglese fu così fulminea che questa posizione dovette essere abbandonata il 17 Marzo.

Il giorno 21 le artiglierie sudafricane diressero i propri colpi sulle truppe italiane in ritirata presso le posizioni da Passo Marda che fu abbandonato nel corso della notte per ritirarsi e proseguire la resistenza al Passo di Babile. L’arrivo delle truppe nigeriane fu così improvviso che le difese del passo non furono nemmeno approntate tanto che i nostri soldati dovettero retrocedere di 16 Km presso il fiume Bisidimo dal quale si ritirarono nuovamente per raggiungere la città di Harrar che fu, in seguito, dichiarata città aperta.

Intanto in molti centri si verificarono gravi scontri tra la popolazione etiope e i molti civili italiani che ancora vivevano e lavoravano nel paese africano: a Dire Daua , dopo la fuga del presidi italiano, molti cittadini del nostro paese furono massacrati e molte violenze vennero commesse.

Il 1° raggruppamento di brigata sudafricano arrivato nei pressi di Auasc e insieme alla XXII Brigata dell’ Africa orientale colse di sorpresa la guarnigione in fuga da Dire Daua costringendola alla resa. La capitale Addis Abeba ormai distava solamente 250 Km

Vista l’impossibilità di poterla difendere il Viceré Amedeo d’Aosta decise di favorire l’ingresso delle truppe inglesi nella città etiope affinché non si verificassero le atrocità commesse a Dire Daua. Le prime truppe nemiche entrarono nel centro abitato alle prime luci dell’alba il 5 Aprile.

Per l’esercito italiano dopo la caduta dell’Asmara, Mogadiscio, Addis Abeba e Harar si prospettò solo più la necessità di resistere il più a lungo possibile, sia per salvaguardare il proprio onore e quello del paese, sia per mantenere impegnate quelle truppe che altrimenti saranno inviare a combattere i “propri compagni” nel deserto libico e in Cirenaica. Alcune sacche di resistenza continuano a combattere:

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Gondar : situata nel nord – ovest del paese nella regione dell’Amhara con il generale Nasi

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Gimma, nella regione dei Laghi, per iniziativa del generale Gazzera

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Amba Alagi,dove si raccolgono gli uomini provenienti da Addis Abeba e dall’eritrea con il Duca d’Aosta

 

Amba Alagi

 Questa fortezza naturale, la cui vetta si erge ad oltre 3000 metri di quota, situata sulla strada che congiunge Massaua ad Addis Abeba, venne considerata dal Duca d’ Aosta ideale per l’ultima eroica resistenza delle sue povere forze. Egli infatti poteva contare su poco meno di 4.000 uomini.

Mentre l’avanzata dei Sudafricani continuò da sud, dall’Eritrea la V Divisione indiana iniziò la propria discesa seguita da folte schiere di guerrieri abissini raggiungendo l’Amba Alagi il giorno 29. Dopo alcuni giorni di consolidamento, l’avanzata verso le posizioni italiane prese il via il 3 maggio ma fu respinta al Passo Falagà, una postazione estremamente fortificata e ben difesa. Stessa sorte toccò ad altri attacchi che nella giornata interessarono quel settore. Solo il giorno seguente la 29 Brigata indiana sostenuta da una massiccia artiglieria riuscì a conquistare le cime più occidentali: Pyramid, Whaleback e Elephant.

Il 5 Maggio altre azioni presero il via dall’Elephant tra cui quella che assicurò anche il possesso di Middle Hill punto in cui, per alcuni giorni, la resistenza italiana fermò l’avanzata inglese. Anche l’avamposto di Twin Pyramids fu sottoposto a violentissimi attacchi che si infransero contro il muro difensivo che ormai si trovava allo stremo della forze.

Il giorno 9 gli Inglesi ripresero le proprie azioni contro il monte Kumsà dove erano affluite le truppe che si erano ritirate dal Passo Falagà: il combattimento proseguì fino a quando non furono esaurite le munizioni dopo di che venne presa la decisione di ripiegare sul monte Corarsi che verrà abbandonato poche ore dopo dalla guarnigione ormai ridotta a 150 uomini. Da questa posizione gli inglesi mutarono tattica: avanti la “carne da cannone”, cioè gli Abissini mentre le truppe regolari si limitarono ad assicurare l’appoggio dell’artiglieria.

Resa del presidio dell'Amba Alagi

Si combatté così fino al 17 Maggio giorno in cui venne concordata la resa con l’onore delle armi di tutto il presidio dell’ Amba Alagi. Il Giorno 19 il Viceré e i suoi superstiti furono ricevuti dai generali inglesi Maine e Morriot che arrestarono il Duca e gli uomini della truppa obbligandolo alla prigionia in Kenya.

Resa del presidio dell'Amba Alagi

Dopo due settimane di violentissimi combattimenti terminò l’ultima grande battaglia della campagna in Africa orientale: per l’esercito inglese fu un grande successo, nei tre mesi di guerra fece prigionieri oltre 230.000 uomini ma ancora in alcune zone la resistenza italiana continuava e avrebbe dovuto essere debellata.

 

Le ultime resistenze

 Nel territorio del Gimma, nel cuore dell’ Etiopia con i nostri soldati impossibilitati a ricevere qualsiasi tipo di aiuti, le operazioni si protrassero fino al 10 Luglio momento in cui si arrese l’ultimo battaglione italiano a Dembidollo, dopo che anche la stessa città di Gimma era caduta il 17 Giugno.

Nell’Amhara invece la difesa fu organizzata in maniera diversa: intorno alla piazza centrale di Gondar vennero costruiti due ridotte periferiche:

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sulle montagne dell’Uolchefit a 110 Km da Gondar in cui non fu necessario approntare difese vista la particolare conformazione del terreno; la sua difesa fu affidata al tenente colonnello Gonella.

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DebraTabor a 160 Km da Gondar sulla strada che collega Addis Abeba Gondar e Dessiè; fu protetto con un reticolato e della sua difesa fu incaricato il colonnello Angelini.

La resistenza fu accanita come sempre ma le nostre truppe mancano di ogni cosa: munizioni, viveri e qualsiasi sorta di approvvigionamento. La ridotta Uolchefit subisce trenta attacchi e novanta bombardamenti che costarono al perdita di 900 uomini. Si arrese il 28 Settembre.

Il 27 Novembre anche la piazza di Gondar dovette ammainare il tricolore e definitivamente concludere la nostra avventura nell’Africa orientale.