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La Marina imperiale giapponese all'inizio della guerra disponeva di una grande forza aerea imbarcata, con una composizione dei gruppi aerei sbilanciata verso gli aerei d'attacco piuttosto che verso i caccia. Gli apparecchi erano di costruzione leggera e avevano una grande autonomia, vantaggio che veniva solitamente acquistato a scapito della vulnerabilità al fuoco nemico, ciò nonostante l'efficacia di tali velivoli veniva sopravvalutata in considerazione dell'abilità degli aviatori giapponesi, che già disponevano di mesi di esperienza di guerra sul fronte cinese.
Mitsubishi A6M Zero Quando apparve per la prima volta a metà del 1940, il Mitsubishi A6M denominato dagli Alleati “Zero” fu il primo caccia imbarcato su portaerei in grado di battere le sue controparti terrestri. Era ben armato e aveva una manovrabilità davvero eccezionale al di sotto di circa 220 mph, e le sue capacità furono una spiacevole sorpresa per le forze statunitensi e britanniche. Raggiunse queste eccezionali prestazioni a discapito della resistenza al fuoco nemico, con una struttura leggera e senza corazzature per il pilota e per le parti vitali né serbatoi autosigillanti. Il suo tallone d'Achille era la rigidità dei controlli alle elevate velocità; la risposta ai controlli era quasi nulla a velocità superiori ai 300 mph. Lo Zero venne sviluppato durante l’intero conflitto, e venne prodotto, nelle varie versioni, in un totale di 10.449 esemplari.
Aichi D3A Val Il bombardiere in picchiata Aichi D3A (nome in codice alleato Val) entrò in servizio verso la metà del 1940 ed era il bombardiere in picchiata imbarcato standard della Marina Imperiale Giapponese all’inizio del conflitto. Era un buon bombardiere, in grado di sostenere il combattimento dopo aver sganciato il suo carico di bombe. Partecipò all'attacco a Pearl Harbor e alle principali battaglie aeronavali del Pacifico tra le quali il Mar dei Coralli, Midway e le Isole Salomone. L'aumento delle perdite durante la seconda metà della guerra relegò questi apparecchi alle missioni suicide degli ultimi mesi. Sono stati costruiti circa 1.495 esemplari.
Nakajima B5N Kate Il Nakajima B5N (Kate nel sistema di designazione alleata) entrò in servizio per la prima volta nel 1937 come bombardiere d'attacco basato su portaerei, con la versione silurante B5N2 apparsa nel 1940. Il B5N aveva buone caratteristiche di manovrabilità e registrò molti successi nella prima parte della guerra. Il suo impiego venne progressivamente ridotto nei reparti in prima linea con il crescere delle prestazioni dei caccia americani e finì la sua carriera come aereo suicida. Furono costruiti circa 1.200 esemplari.
Il presidente Franklin D. Roosevelt ordinò che la flotta del Pacifico degli Stati Uniti si trasferisse nel porto di Pearl Harbour nelle Hawaii nel maggio 1940 dalla sua base a San Diego. L'idea era di scoraggiare un assalto giapponese nel sud-est asiatico. Invece, le relazioni americano-giapponesi continuarono a deteriorarsi incanalandosi verso la guerra nel corso del 1941. Una conferenza imperiale convocata per il 6 settembre 1940 prese la decisione di entrare in guerra a fianco di Germania ed Italia. Le forze giapponesi si mobilitarono immediatamente e la Marina iniziò a pianificare l'attacco alla base di Pearl. L'ammiraglio Isoroku Yamamoto, che essendo stato addetto militare in America ne conosceva bene forza e potenziale, ordinò i preparativi per l'attacco il 1 novembre. Un ultimo sforzo di pace da parte dei diplomatici giapponesi fallì alla fine di novembre. Oramai la decisione era presa ed una potente forza d’attacco partì dalle Isole Kurili il 26 novembre con destinazione le Hawaii. La forza comprendeva sei portaerei fortemente scortate, cacciatorpediniere, sottomarini e navi per il rifornimento in mare.
Sulla portaerei Akagi, la nave ammiraglia del comandante della forza viceammiraglio Chuichi Nagumo sventolava la famosa bandiera "Z", che sventolava sulla nave ammiraglia nella battaglia dello stretto di Tsushima nel 1905.
Dopo 12 giorni di navigazione inosservata in mare aperto, rifornita di carburante dalle petroliere, la forza d’attacco, dopo il fallimento dei negoziati di pace, ricevette il messaggio in codice che conteneva il segnale di attacco: "Scalate il monte Niitaka". Washington aveva violato il codice diplomatico giapponese ma non il codice navale. All'inizio del 7 dicembre il Dipartimento della Guerra inviò generici avvertimenti a Pearl e Manila circa un prevedibile attacco giapponese. L'attacco, se fosse avvenuto, avrebbe dovuto colpire le Filippine; nessuno pensava che i giapponesi potessero osare tanto da colpire Pearl. In ogni caso, l'avvertimento a Pearl venne ritardato da una tragicomica sequela di errori tecnici e umani Le corazzate della Flotta del Pacifico degli Stati Uniti erano quindi ancora ordinatamente ormeggiate in una tranquilla domenica mattina e colte del tutto alla sprovvista dall'attacco aereo navale giapponese.
La prima ondata di attacchi ottenne una totale sorpresa poco dopo le 0700 di domenica mattina, 7 dicembre 1941. Cominciò nonostante non fosse ancora stata consegnata la dichiarazione di guerra ufficiale giapponese: questa fu ritardata da una lunga trascrizione e da una lenta decodifica da parte dell'ambasciata giapponese a Washington. La dichiarazione di guerra consegnata tardivamente al Segretario di Stato Cordell Hull accusava gli Stati Uniti di cospirare “con la Gran Bretagna e altri paesi per ostacolare gli sforzi del Giappone verso l'instaurazione della pace attraverso la creazione di un nuovo ordine nell'Asia orientale, e soprattutto per preservare i diritti e gli interessi anglo-americani mantenendo il Giappone e la Cina in guerra”. Gli americani, in seguito, utilizzarono fortemente a scopo propagandistico l'"attacco furtivo" a Pearl, sebbene in termini operativi giapponesi il raggiungimento della sorpresa fosse solo desiderabile.
La sorpresa nel cielo delle Hawaii fu totale. L'attacco era stato progettato dal comandante Mitsuo Fuchida, un pianificatore brillante ed innovativo. Ebbe come ispirazione l'attacco contro la flotta italiana a Taranto condotto da aerosiluranti imbarcati della Royal Navy. Fuchida guidò personalmente la prima ondata, composta da 183 bombardieri, aerosiluranti e caccia. Divisi in quattro gruppi di attacco, i giapponesi colpirono gli aeroporti dell'esercito americano e del Corpo dei Marines e bombardarono le navi allineate agli ormeggi dell’isola Ford. Una seconda ondata di 170 aerei attaccò riscontrando maggiore opposizione, ma le perdite giapponesi rimasero leggere. A poche ore dalle prime esplosioni, gran parte della Flotta del Pacifico era in fiamme, affondata o gravemente danneggiata. Tra le principali navi corazzate, la "Arizona" fu sventrata mentre la "Oklahoma" capovolta. Anche le corazzate "California", "Nevada" e "West Virginia" furono affondate all'ormeggio.
Su queste e altre navi, sulle piste di atterraggio e altrove alle Hawaii, gli Stati Uniti subirono 3.695 vittime, tra cui 2.340 militari uccisi. Dei morti, 1.177 erano a bordo dell'Arizona. Altri 48 civili vennero uccisi. L'US Navy vide 12 delle sue maggiori navi da guerra affondate e altre 9 gravemente danneggiate, mentre 164 aerei furono distrutti e altri 159 danneggiati. La Marina Imperiale giapponese perse solo 29 aerei e 64 uomini, tra cui 9 membri degli equipaggi di 5 sottomarini tascabili che tentarono l’infiltrazione nel porto. Tuttavia, le portaerei della flotta statunitense, gli obiettivi primari perseguiti da Yamamoto e Fuchida, erano fortuitamente in mare per esercitazioni e quindi vennero risparmiate. L’ammiraglio Nagumo si rifiutò infine di lanciare una terza ondata di attacco per distruggere il carburante e le strutture di riparazione di Pearl. Se l'avesse fatto, quell'azione avrebbe fatto più danni a lungo termine alla Flotta del Pacifico che quello arrecato alle navi da guerra all’ancora nel porto. |