Il capitano moro Michele Amatore
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Il corpo dei Bersaglieri, per le sue peculiarità, per la sua divisa e per la sua storia, è sempre stato attorniato da un alone di notorietà e di fascino. Questo ha annoverato tra le sue fila tanti eroi e personaggi che sempre ne hanno dato lustro e che sempre hanno rappresentato valori di italianità e di abnegazione al dovere verso la Patria. Non è esente da tutto questo il capitano moro Michele Amatore. Per questa breve storia del capitano Michele Amatore, utilizzerò molti brani dalla fonte più dettagliata che è il profilo biografico scritto da Michele Lessona e pubblicato nel 1869 da G. Barbera editore in Firenze.Riportando integralmente parti di questo testo in corsivo ne darò una biografia che renda omaggio a questo personaggio. Michele Amatore, chiamato Quetto dai genitori naturali, nasce nel 1826 nel villaggio di Commi nei Monti Nuba nel Sudan.
“Il villaggio in cui io sono nato si chiama Commi. Verso la metà del mese di settembre dell'anno 1832 il mio villaggio fu aggredito dalla truppa regolare del vicerè d'Egitto. I soldati egiziani circondarono il villaggio all'alba in numero di circa 6000, e incominciarono un vivissimo fuoco. Gli abitanti balzarono fuori spaventati; ma subito tutti quelli che erano atti a combattere si raccolsero, e con frecce e con stili (che non avevano altre armi) incominciarono la difesa. Era la difesa della moglie, dei figli, degli averi, di tutto e fu disperata. Ma combattevano forse un migliaio d'uomini male armati e peggio ammaestrati, ed era troppo disuguale la lotta: quei valorosi non poterono fare altro che vendere cara la loro vita. Sulle salme dei morti guerrieri i soldati egiziani entrarono nel villaggio, e fu una vera carneficina: uccisero i vecchi, e non lasciarono che un mucchio di rovine. I superstiti, donne e fanciulli la più gran parte, furono legati e tenuti sotto custodia fino al giorno seguente. Mio padre, capo della tribù, perduta ogni speranza di vivere e di salvare la sua famiglia, piuttostochè cader schiavo di quella gente avida di sangue e di saccheggio, preferiscigittarsi disperatamente nella mischia, e valorosamente morì trafitto dalle palle del cruento nemico. Però prima di morire raccomando ad un nero, che adempì all'incarico, di dirmi di tenere a mente (e non si cancellerà in me la sua parola se non che coll’estinguersi della mia vita) che io era il suo primogenito, e che m’incombeva l'obbligo di ricordarmi della gente cui io apparteneva, e che un giorno liberato dalla schiavitù non dimenticassi di ritornare nei nostri possedimenti, e dare nuova vita al nome della perduta famiglia. La tribù portava il nome del paese in cui risiedeva il capo, e quel paese si chiamava Commi, come ho detto sopra. Mio padre si chiamava Bolingia, mia madre Siliando, il mio nome era Quetto, un mio fratello minore si chiama Sarin; di due più piccole sorelline non ricordo i nomi.
Figlio del capovillaggio, Quetto si trova al centro del mercato degli schiavi. Nel libro del Lessona viene narrato come nel Sudan veniva praticato dagli egiziani tale commercio. Le truppe egiziane, vuoi per tornaconto personale dei comandanti vuoi per rispondere ai tributi richiesti dal Cairo, facevano vere e proprie retate tra i villaggi, ammazzando i vecchi e riducendo in schiavitù uomini, donne e bambini, che venivano rivenduti ai mercanti di schiavi. Questi portavano gli schiavi al Cairo per essere rivenduti. Le fatiche le privazioni e i dolori di queste persone erano indicibili. Già da queste prime notizie apprendiamo che il nostro personaggio è figlio primogenito di capo e quindi già abituato, seppur in tenera età, a vivere in una famiglia nella quale risiede la responsabilità di tutta la tribù, che pure non doveva essere piccola in quanto il numero degli assalitori e gli altri numeri che in seguito fornirà denotano una comunità di media grandezza. Quetto è quindi un fanciullo che, ancorché in una tribù del Sudan con scarsa civilizzazione, respira aria di responsabilità e di impegno per la comunità.
Calcolando dal tempo che abbiamo impiegato a percorrere la strada dal mio perduto villaggio a Kartum, penso che la distanza sia di novanta o cento miglia. Sebbene in quei giorni di sventura io non avessi più di sei o sette anni, pur troppo mi ricordo dei mali trattamenti che ci hanno fatto soffrire i soldati egiziani nel doloroso tragitto. Il bastone di quella gente esecrata non risparmiava nessuno: tutti, grandi, e piccoli, erano barbaramente percossi; e quelli che pel patimento e lo scarso cibo perdevano le forze, spietatamente venivano uccisi. Il cibo era un po' di pane el acqua, e questa sovente ci mancava, per cui strada facendo buon numero di schiavi perirono e furono lasciati insepolti. Mia madre aveva una bambina lattante: inariditosele il seno, l'innocente creatura dopo pochi giorni moriva; mia madre prese a scavare colle mani la terra per farle una sepoltura, e quelli scellerati la percorsero ferocemente: i morti non dovevano essere sepolti. Insomma, la marcia dal mio villaggio a Kartum non poteva presentare spettacolo più straziante. In quella marcia le privazioni, i mali trattamenti, le soverchie fatiche fecero morir tanta gente, che io calcolo a 600 o 700 quei morti, un terzo circa dei partiti.
Il cruento distacco dai legami familiari, la morte del padre non poterono non lasciare nel piccolo Quetto profonde ferite. Apprezziamo, soprattutto con il seguitare della sua vita, la semplicità e la schiettezza del fanciullo, che se pur ferito profondamente non inaridisce i propri sentimenti. La buona sorte porrà sulla sua strada persone che riserveranno per lui attenzioni filiari ma sarà sempre il suo carattere ad alimentare tali attenzioni, tutte quindi senz’altro meritate.
Impiegammo circa 10 giorni da Commi a Kartum; qui fummo divisi in tre scompartimenti. In quella spartizione mi divisero dalla madre e dai fratelli, ultimo mio conforto sulla terra, e così il mio fratello minore e la sorellina furono divisi dalla madre, per modo che nessuno più della mia famiglia potè conoscere le sorti dei congiunti; e nulla io ne seppi più mai, malgrado le incessanti richieste fatte. Di leggieri ciascuno si persuaderà che anche ai popoli digiuni d'ogni principio di civiltà non è sconosciuto l'amore pei genitori: onde lascio giudicare quel terribile momento fu quello per la madre e per noi fratelli: per non abbandonarci, la madre ci strinse tenerissimamente al seno, ma con forza brutale ci separarono. ... In Cairo il nostro giovane nero fu comprato dal dottor Luigi Castagnone, allora protomedico del vicerè d'Egitto, piemontese, di Casal Monferrato, uno degli Italiani che hanno fatto onore in Egitto alla patria. Il dottor Luigi Castagnone oggi in Rosignano presso Casal Monferrato vive la vita contenta dell'uomo che sa d’aver fatto in questo mondo il proprio dovere. In breve il Castagnone prese ad amare paternamente il ragazzo. Ma dovendo poi partire per l'Europa, e sapendo quanto ai fanciulli neri sia micidiale il clima dei nostri paesi, lasciò il piccolo Michele (gli aveva dato questo nome) ad un suo amico, pur piemontese, il dottor Maurizio Bussa, di Felizzano. Questo pure pose in Michele, che sapeva farsi amare, moltissimo affetto, e dovendo qualche anno dopo partire pel Piemonte col proposito di trattenersi un po' di tempo, se lo porto seco. A Felizzano il giovane nero si fece cristiano, e prese il nome di Michele Amatore a significare l'amore incancellabile che sempre avrebbe portato ai suoi benefattori Castagnone e Bussa.
Il nostro piccolo Quetto trova due persone che resteranno indelebili nella sua vita e che lo porteranno alla gloria che raccoglierà con la divisa da bersagliere. Solo con il rientro in Piemonte del Bussa, Quetto arriva in Italia ed inizia il suo inserimento nel tessuto sociale di Quattordio, la cittadina dover abita il Bussa. Anche oggi sono evidenti le difficoltà di inserimento nelle società di persone che non appartengono alla stessa etnia, anche se la società multietnica si sta sempre più consolidando. All’epoca, con l’ambizione di ampliare i territori nazionali a parti di terre lontane, le etnie dei territori conquistati venivano maggiormente viste come servitori; solo poche persone con maggiore senso di umanità non vedevano questi divari. Michele Amatore – cosìbattezzato il 10 giugno 1838 dal vescovo di Asti e che da ora in avanti chiameremo così – ebbe la buona stella di incontrare persone simili che, ancor più apprezzando il suo carattere aperto e disponibile, lo trattarono alla stregua di un figlio. E questo gli permise di giungere in Italia, in Piemonte e di consentire alla civiltà e alla operosità del territorio e delle persone che incontrò, di forgiare ancor di più il suo carattere.
Ritornato in Egitto, libero e grandicello, incominciò qualche traffico. Egli aveva in mente progetti commerciali tanto ragionevoli quanto grandiosi: voleva lavorare in traffici con ottimo intendimento tra Cairo e Kartum, e forse si sarebbe fatto ricco, salvo ad essere poi spogliato di tutto dal governo egiziano.
Apprezziamo ancor di più il carattere di Michele che, nonostante le dolorose esperienze di fanciullo, le traversie in cui è incorso, non rinuncia, raggiunta la maggiore età e, probabilmente stimolato dai suoi protettori, ad avviarsi ad una vita autonoma e, con senso di iniziativa, a intraprendere un’attività commerciale che gli garantisca autonomia economica. Seppur apprezzato in Piemonte, si rivolge al suo paese di origine e lì, nel quale nonostante sia stato strappato da fanciullo, sente di potersi muovere con più naturalezza che nel suo paese di adozione. Come oggi peraltro, le differenze tra paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo sono notevoli e le condizioni di vita sono senz’altro migliori nei primi ma Michele riconosce le proprie origini e mette al servizio del suo paese le sue capacità. Ma il destino ha in serbo altri progetti per il nostro eroe.
Scoppiò il 1848, ed egli, Italiano di sentimenti e di affetti, volle venire a combattere le patrie battaglie. S’imbarco per Livorno, poi per Genova, e corse ad arruolarsi nei Bersaglieri.
Il sentimento di Michele verso il Piemonte è forte come quello per il Sudan e quando sente che in Italia si combatte per scacciare gli Austriaci e riunificare la nazione, sente forte il sentimento di dare anche lui il suo contributo. Ciò è comune al sentimento di molti giovani dell’epoca, che sentivano nel profondo l’azione intrapresa dal Regno di Sardegna nel voler unificare sotto un'unica bandiera l’Italia. Più lampante esempio furono gli universitari toscani che combatterono a Curtatone e Montanara. Nella sua permanenza in Piemonte avrà sicuramente visto sfilate di reparti dell’Esercito ed è probabile che sia rimasto folgorato dal fascino del Corpo dei Bersaglieri ed infatti sceglie di arruolarsi in questo corpo.
Si mostrò nelle battaglie un leone; la sua faccia nera serviva di punto di annodamento ai coraggiosi compagni, e di terrore al nemico: parecchie volte dopo un combattimento i suoi capi corsero ad abbracciarlo. In pace era un modello di disciplina e di operosità, amor dei capi e dei compagni. … Cominciò a diventare popolare in Torino e nelle varie guarnigioni dell'Antico stato sardo da una ventina d'anni a questa parte un giovane bersagliere nero come l'ebano, di belle forme, svelto, piacevole favellatore, guardato con occhio curioso dalla gente e chiamato senz'altro il bersagliere moro Più tardi lo chiamarono il caporale moro, poi il sergente moro, e così via via fino ad oggi che vien detto il capitano moro. Egli è capitano dei Bersaglieri; tutte le città d'Italia hanno fatto la conoscenza della sua fisionomia e ne hanno fatto una conoscenza particolarissima gli Austriaci in Lombardia e i briganti nelle province meridionali.
Con un breve apprezzamento sulle doti dimostrate da Michele nel Corpo dei Bersaglieri di fatto termina la biografia del Lessona. Per comprendere meglio la carriera nel Corpo del Bersaglieri dall’elenco delle onorificenze apprendiamo che ha partecipato alle campagne del 1849, del 1859 e del 1866 contro gli Austriaci e del 1869 contro il brigantaggio delle regioni meridionali del Regno.
Nel 1836, fortemente voluta dal capitano Alessandro Ferrero della Marmora, avviene la costituzione del Corpo dei Bersaglieri. Per tale forza armata il capitano aveva delineato le caratteristiche che dovevano contraddistinguere il bersagliere, che si doveva differenziare dalla fanteria, la spina dorsale dell’Esercito, per rapidità, aggressività, prestazioni fisiche. Così definiva le caratteristiche del bersagliere:
Un soldato fisicamente capace, allenato a fornire elevate prestazioni, di grande spirito ed entusiasmo, ricco di volontà e di fede, addestrato con criteri rinnovatori, ben armato, disciplinato, pronto al sacrificio e aderente nell’impiego e nello spirito all’indole e alle abitudini innate e acquisite prima del servizio militare.
Dai racconti del Lessona delle traversie vissute e dai tratti somatici del suo carattere, appare una descrizione quasi fatta su misura per Michele. E addestrati secondo queste caratteristiche le compagnie bersaglieri hanno il battesimo del fuoco al fatto d’arme del ponte di Goito dove prendono parte a questo vittorioso scontro raccogliendo gloria ed apprezzamenti. La prima parte della guerra d’indipendenza non si conclude positivamente per il Regno di Sardegna e si giunge all’armistizio di Salasco del 9 agosto 1848 ma in Piemonte e anche nel resto dell’Italia si inizia a diffondere tra la popolazione il fenomeno dei volontari che percepiscono il momento delicato che sta vivendo il Regno e sentono di dover dare il proprio personale contributo. Ed è proprio questo il sentimento che pervade Michele Amatore che l’8 agosto 1848 si arruola volontario nel corpo dei Bersaglieri. Il 1° marzo 1849 viene promosso caporale.
Quando entrò soldato non sapeva leggere: pigliava di soppiatto la chiave della scuola del reggimento per andarsi ad esercitare sulla lavagna nelle ore del riposo. Imparò a leggere ed a scrivere con ottima calligrafia: imparò l’aritmetica, la geometria, il francese.
Sempre più appare evidente il carattere di Michele, sempre rivolto ad acquisire conoscenze, sempre disposto ad imparare cose nuove e mai adagiato sulle proprie disgrazie, con la certezza che, prima o poi, gli sarebbe potuto servire nella vita.
Nel periodo tra l’armistizio e la ripresa delle ostilità con l’Austria, il Ministero della Guerra Del Regno di Sardegna, tra i vari provvedimenti per migliorare la qualità dell’Esercito, aumenta le dimensioni del Corpo dei Bersaglieri. Michele Amatore partecipa ai fatti d’arme del 1849. I Bersaglieri nell’ambito della 2° e 3° Divisione piemontese si battono con valore il 21 marzo alla Sforzesca ad arrestano l’avanzata austriaca; che però non viene fermata verso Mortara. Gli Austriaci sono ora in vista di Novara ed è qui che il 23 marzo 1849 avviene lo scontro decisivo della campagna. I Piemontesi sono sconfitti e con l’armistizio di Vignale termina la prima guerra d’indipendenza italiana. A Torino Carlo Alberto abdica a favore del figlio Vittorio Emanuele II.
Sale ora sulla scena dell’indipendenza italiana Camillo Benso Conte di Cavour che inizia a tessere l’alleanza con la Francia e pone le basi per la vittoriosa seconda guerra d’indipendenza, alla quale Michele Amatore partecipa. Lo scontro principale della guerra avviene il 24 giugno 1859 a Solferino ed a San Martino. In quest’ultima località si batterono le truppe piemontesi al comando del Re Vittorio Emanuele II mentre a Solferino contesero il terreno agli Austriaci i Francesi al comando dell’Imperatore Napoleone III. A San Martino i Piemontesi puntano sull’omonima altura e sulla chiesa della Madonna della Scoperta, verso Solferino. Verso questa posizione opera la 1° Divisione del generale Giovanni Durando e da alcuni documenti rintracciamo la partecipazione nel 4° battaglione Bersaglieri della Brigata Savoia del sergente Michele Amatore. La valorosa partecipazione a questa battaglia fruttò a Michele Amatore la promozione a sottotenente.
Questa promozione è estremamente importante in quanto passare in 10 anni da soldato semplice ad Ufficiale non è cosa da poco conto, soprattutto per quei tempi e soprattutto nell’Esercito del Regno di Sardegna, dove rigidità e militarismo sono valori importanti. Il grado di ufficiale significava il titolo di Signore: in qualche modo si entrava nella nobiltà, si aveva accesso a Corte e nel Regio Esercito le differenze tra gli ufficiali e i restanti subordinati sono rimaste evidenti fino al 1943. Però non si esita a nominare Sottotenente Michele benché abbia la pelle nera: il suo coraggio in battaglia e le sue doti di comandante sono la motivazione.
Con questa battaglia termina la seconda guerra d’indipendenza con la sconfitta degli Austriaci e la formazione del primo nucleo dell’Italia unita nelle regioni del nord e del centro: ora Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana sono unite in un unico stato. Mancano ancora il centro-sud e la Sicilia. Giuseppe Garibaldi organizza un esercito di mille volontari che il 5 maggio 1860 partono dalla Liguria per la Sicilia. I Mille riescono a sconfiggere l’esercito dei Borboni a Calatafimi. Garibaldi e i suoi uomini risalgono la penisola e liberano anche tutto il sud dai Borboni e il 26 ottobre 1860 nella cittadina di Teano (Caserta) consegna a Vittorio Emanuele II le conquiste compiute al sud. Nel mese di novembre la popolazione del Regno delle due Sicilie vota per l’annessione all’Italia. A questo punto, l’Italia è unita sotto il re Vittorio Emanuele. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II diventa il primo re d’Italia. In questo momento, per una ulteriore promozione, Michele Amatore è luogotenente e, nel 1863 è promosso capitano.
Per arrivare all’unità totale dell’Italia mancano ancora il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. Il Regno d’Italia decide quindi di allearsi con la Prussia, uno Stato molto forte che voleva fare guerra all’Austria per ottenere l’unificazione e l’indipendenza della Germania, che era sotto il controllo austriaco. Secondo gli accordi tra Italia e Prussia, qualora queste avessero vinto contro l’Austria, l’Italia avrebbe ottenuto il Veneto mentre la Prussia il controllo sulla Germania. Il 23 giugno 1866 scoppia perciò una guerra tra Austria e Prussia-Italia. La guerra, combattuta nel 1866, è breve e si conclude con la vittoria prussiana a Sadowa. Sul fronte italiano, l’esercito viene diviso in due parti, rispettivamente capeggiate da Vittorio Emanuele II, affiancato da La Marmora, e dal generale Enrico Cialdini. I generali escogitarono un piano d’attacco basato su due interventi militari separati, in due zone diverse del Lombardo-Veneto. Tuttavia le difficoltà di comunicazione e coordinamento tra i due schieramenti indebolirono l’azione di La Marmora che, il 24 giugno, subì un’importante sconfitta presso Custoza, in provincia di Verona. Il 20 luglio l’Italia ricevette un altro duro colpo presso l’isola di Lissa, lungo le coste della Dalmazia: qui l’ammiraglio italiano Carlo Persano venne attaccato e successivamente sconfitto dalla flotta austriaca. Nonostante le sconfitte italiane, la Prussia rispetta i patti e, dopo aver sconfitto l’Austria, consegna il Veneto all’Italia. Restavano ancora in mano agli austriaci, però, il Trentino e il Friuli Venezia Giulia che si riunirono all’Italia solonel 1918, alla fine della prima guerra mondiale o Grande Guerra.
Dalle onorificenze di Michele Amatore abbiamo appreso che lo stesso partecipò anche alle campagne contro il brigantaggio delle regioni meridionali del Regno d’Italia. Ma più in generale l’Esercito – e quindi anche i battaglioni Bersaglieri - venne utilizzato nel Regno per contenere moti di rivolta o di protesta dopo la infelice campagna del 1849 e dopo l’unificazione dell’Italia. Ed è nel 1849 a Genova che Michele Amatore è attore principale di un fatto dove, forse anche per il colore della sua pelle, emerge quel sentimento di avversione verso persone diverse dalla propria etnia. Dopo la battaglia di Novara tutto il Regno di Sardegna è in subbuglio in quanto non si conoscono le condizioni di resa chieste dagli Austriaci e tutte le notizie – anche le bufale diremmo oggi – vengono credute vere. A Genova scoppia una vera insurrezione che il Governo di Torino deve sedare con l’invio di truppe, tra le quali il battaglione di Michele. In città avvengono scontri a fuoco tra truppe piemontesi e rivoltosi che, credendo che la città debba essere ceduta agli Austriaci si oppongono con la lotta. Gli scontri avvengono nel centro città e, tra i palazzi danneggiati vi è quello della famiglia Doria. Michele Amatore ha preso parte allo scontro e il principe Doria-Pamphilj accusa pubblicamente Michele sulla stampa del saccheggio del palazzo. Un servitore testimone scagiona Michele ma purtroppo la tensione non diminuisce, vuoi per l’intervento in suo favore dei compagni d’arme, vuoi per la presa di posizione dei Genovesi per il principe, vuoi anche per uno schiaffo al principe dato da Michele al teatro. Michele ha sempre dalla sua l’Esercito e il principe i genovesi. Tutto si chiude con la ripresa del controllo della città da parte del governo e la fine dell’occupazione militare e con una condanna inflitta a Michele da Tribunale Militare.
Michele Amatore è, con i Bersaglieri, a domare le sommosse scoppiate in Sicilia dopo la sconfitta del 1866. Qui briganti e filo-borbonici entrano in gran numero a Palermo e solo le truppe piemontesi, dopo combattimenti protrattisi più giorni riprendono il controllo della città. Michele è a Monreale ma qui la situazione si aggrava per una epidemia di colera scoppiata in città. Ed è nell’aiuto alla popolazione che i Bersaglieri – e tra loro in evidenza Michele – si distinguono in questa emergenza umanitaria, tali da meritare la medaglia di benemerenza per i soccorsi alla popolazione colpita dal colera.
Michele Amatore si congeda dall’Esercito, si sposa nonostante non più giovane e si ritira a vita privata a Rosignano Monferrato. I ricordi di questo anziano nel paese in cui passa i suoi ultimi anni sono sempre generosi per le sue virtù di comprensione, di amore per il prossimo, di educazione, di bontà. Michele Amatore muore a Rosignano il 7 giugno 1883.
Chiudiamo questa biografia non potendo ignorare quanti insegnamenti per i giovani di oggi contiene la storia di questo sudanese naturalizzato italiano (oggi si dice così); questi insegnamenti non si limitano ai giovani ma sono anche validi per chi ha responsabilità di governo.
Bibliografia
Michele Lessona, Volere è potere, Firenze, 1872 La grande storia del Piemonte, Bonechi, 2001 Pietro Fea, Storia dei Bersaglieri, Tipografia della Gazzetta d’Italia, 1879 Archivio di Stato di Torino, Ministero della Guerra, Ruoli matricolari, Corpo dei Bersaglieri Sul crinale La battaglia di Solferino e San Martino vissuta dagli italiani a cura di Costantino Cipolla e Matteo Bertaiola, Franco Angeli, 2009 Camillo Cappelaro, Rosignano Monferrato Delle cose sulla storia, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1984 Il Regno di Sardegna nel 1848-1849 nei carteggi di Domenico Buffa. Emilio Costa, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1970 |