Gas sul Monte San Michele
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Il Monte San Michele del Carso è divenuto, durante la Grande Guerra, uno dei simboli della violenza e della crudeltà raggiunta dal conflitto sul Fronte Italiano.

Punta più alta dell'intero settore del Carso – 275 metri - ma appena distinguibile dalla piana friulana, venne in pochi mesi trasformata in una vera fortezza dalle unità austroungariche; dalla sua sommità si poteva dominare un settore del fronte che dal mare arrivava fino a Gorizia.

Le descrizioni topografiche consentono di conoscere postazioni, trincee e camminamenti che avevano caratteristiche denominazioni: "Costone dell'albero isolato", "Costone viola", "Lunetta", "Rocce rosse", "Groviglio", "Bosco ferro di cavallo", "Bosco quadrangolare", "Trincerone dei morti", ecc.

In un paesaggio lunare come quello carsico ogni elemento anche un poco diverso, fosse solo un arbusto, diveniva assoluto, anche topograficamente.

Gli alterni successi, le mai definitive conquiste e le perdite delle varie quote fecero sì che le opposte prime linee ben presto sfuggissero al controllo dei rispettivi comandi. Le iniziative offensive e difensive, le incursioni e i pattugliamenti divennero quindi materia di decisione degli ufficiali dei singoli reparti dislocati nel settore.

Gli italiani aggredirono il Monte e, a prezzo di perdite rilevanti (nei primi quindici mesi di guerra, il nostro esercito vi perse 111.963 uomini), fecero minimi progressi, riducendo indebolendo comunque sempre le posizioni austroungariche.

Tra le azioni più rilevanti va collocato l'attacco austroungarico del 29 giugno 1916, condotto con l'impiego dei gas asfissianti.

Furono quattro le brigate di fanteria investite dall’attacco del 29 giugno 1916: la Brigata Pisa (Reggimenti 29° e 30°), la Brigata Regina (9° e 10°, la Brigata Brescia (19° e 20°) e la Brigata Ferrara (47° e 48°).

La decisione di sferrare un attacco con il supporto del gas fu preso, oltre che per sbloccare un settore del fronte isontino dove gli italiani avrebbero potuto infrangere le linee ed ottenere una vittoria decisiva, dal risultato ottenuto dai tedeschi il 22 aprile 1915, nella regione di Ypres (Belgio), dove i tedeschi lanciarono circa 100 tonnellate di cloro contro le truppe francesi con il risultato di 15.000 gassati di cui circa 5.000 morirono all'istante.

Non mancarono posizioni di alti ufficiale austroungarici che ritenevano tale mezzo “sleale” ma, nella primavera, l’Alto Comando Imperiale, nonostante titubanze sull’utilizzo di questo nuovo mezzo offensivo, approvò l’utilizzo dei gas.

La zona prescelta lungo il fronte dell’Isonzo fu quella del Monte San Michele con direttrice di attacco verso Sdraussina e da lì raggiungere e superare l’Isonzo.

La macchina organizzativa si mise in moto: le bombole del gas (una miscela di cloro e fosgene) furono trasportate via ferrovia alle stazioni più vicine al fronte poi via strada e poi a braccia sino alle trincee. Qui specialisti tedeschi formati alla scuola di Krems dovettero, per proteggerle dal tiro delle artiglierie, collocarle in postazioni protette; il tutto compiuto di notte per sfuggire agli osservatori italiani.

II cloro ed il fosgene (cloruro di carbonile) sono classificabili, in base all'effetto più appariscente dell’azione biologica, nella categoria degli aggressivi asfissianti o soffocanti.

L'azione di entrambi si esplica prevalentemente sulle vie respiratorie, determinando lesioni polmonari tali da provocare l'asfissia della vittima. Il fosgene, molto più tossico del cloro, risulta mortale anche in piccole concentrazioni e non con effetto immediato bensì tardivo, non permettendo di accorgersi subito dell’avvelenamento e alimentando quindi la permanenza nella zona gassata.

Nel frattempo, sul San Michele, gli italiani continuavano ad esercitare una grande attività offensiva e, nella giornata del 28 giugno 1916, vi fu un ulteriore avvicinamento alle linee austriache grazie alla conquista dell"'Elemento quadrangolare" (posizione di fronte a Casa Bianca). In quest’occasione gli italiani si erano trovati ad un passo dallo scoprire le bombole già posizionate nelle trincee austriache.

Gli austroungarici non potevano correre il rischio che l’azione fosse prevista, vanificando totalmente l’elemento sorpresa, e quindi dovettero passare all’azione.

Nel prime ore del 29 giugno in una zona dell’attacco, il settore di Mainizza, dal quale si doveva puntare al Monte Fortin, un’altura più bassa del San Michele dalla quale l’artiglieria di Corpo d’Armata batteva costantemente le linee austroungariche, venne a cessare il vento, elemento indispensabile per l’azione. Nel settore non si poteva quindi procedere con la diffusione del gas e quindi con l’attacco, perché le disposizioni del Comando d'Armata austriaco vietava “ogni assalto contro una fronte non completamente rotta dall'effetto dei gas".

Gli obiettivi dell’attacco si ridussero drasticamente, portando gli austroungarici a limitarsi di migliorare le posizioni sul San Michele.

Il gas venne quindi rilasciato solo dalle bombole disposte nei settori di S. Martino e del S. Michele dalle 0515 del mattino.

La miscela di cloro e fosgene avanzò alla velocità di circa due metri al secondo verso le linee italiane.

L'effetto fu devastante.

Migliaia di uomini morirono in pochi istanti, altrettanti si contorsero in una più o meno lunga agonia, parecchi furono quelli che subirono gli effetti deleteri con ritardo, spirando i giorni successivi, negli ospedali delle retrovie o prigionieri degli austriaci.

La maschera antigas in dotazione in quel momento, il tampone monovalente, non dava protezione con la miscela di cloro e fosgene diffusa.

In questa fase venne inoltre a mancare l'azione di comando dei molti ufficiali intossicati.

Ciò provocò lo smarrimento anche di una parte di soldati non colpiti dai gas, che arretrò disordinatamente verso le retrovie.

Ad aumentare la crudeltà del momento, le truppe austroungariche era dotate di mazze ferrate di foggia medievale per il combattimento nelle trincee, usate quindi contro i moribondi gassati.

Anche la sede del Comando Brigata "Borgo Pisa" era stato investita dalla nube tossica ed aveva trovato la morte anche il colonnello Briganti, comandante della brigata.

In tutto il fronte eroismi personali, il ripristino dei collegamenti e l'azione di comando dei graduati determinarono la riscossa dei soldati delle Brigate investite e limitarono lo sviluppo dell'azione nemica.

Proprio dalle baracche del Borgo si ebbe il primo segnale di ripresa: alcuni ufficiali e soldati iniziarono a rispondere al fuoco nemico.

Fortunate coincidenze ed errori tattici vennero in aiuto agli italiani: gli austriaci non erano riusciti a utilizzare tutte le bombole disponibili, altre avevano i tubi di diffusione troppo inclinati verso l'alto, così che la nube gassosa sorvolò, senza investirle, le trincee italiane ed infine, in alcuni casi, la pressione dei gas emessi ruppe le guarnizioni delle bombole così che finirono gassati addirittura alcuni tratti di trincea austriaca.

Anche il terreno sconnesso impedì l'omogenea distribuzione del gas. Si vennero a creare ampi spazi incontaminati nei quali la resistenza italiana si mantenne attiva, infliggendo gravi perdite agli attaccanti.

Oltre a tutto questo, causa la velocità del vento troppo bassa, i gas si fermarono sulle trincee italiane più del necessario, permanendo nel momento dell’arrivo degli attaccanti austriaci, in massima espansione polmonare causa la corsa per giungervi.

Pertanto, anche loro, seppur dotati di una protezione migliore, risentirono degli effetti letali del gas. Come se non bastasse ad un certo punto il vento cambiò direzione e riportò la nube tossica verso le trincee da cui era partita.

Col passare del tempo infine l'aumento della temperatura, causato dal sole che cominciava a splendere, cominciò a disperdere la nube tossica.

Non è azzardato affermare che in questa occasione, proprio per le particolari condizioni venutesi a creare, le truppe italiane dimostrarono un coraggio in seguito difficilmente eguagliato.

Lentamente, con l’intervento della Brigata Regina e delle truppe della riserva, una ad una le posizioni vennero riconquistate sino a che, nel primissimo pomeriggio, furono raggiunte, su tutta la fronte del San Michele, la situazione precedente all'attacco.

Quindi, alla fine, gli austriaci non raggiunsero nessuno degli obiettivi prefissati.

Dopo la tragedia del Monte San Michele il Comando Supremo italiano non stette immobile. Fra le prime cose si pensò di migliorare la maschera antigas in dotazione ai soldati . L'inutile tampone monovalente fu dismesso a favore del nuovo modello Camician-Pesci polivalente ad imbuto, con occhiali staccati, che tuttavia risultò anch'esso rudimentale e di scomodo utilizzo.

All' inizio del 1917 fece la sua comparsa la maschera polivalente a protezione unica (con occhiali compresi nel facciale), sicuramente migliore delle precedenti ma ancora imperfetta. Solo in gennaio 1918 si potè distribuire il modello detto "Small Box Respirator", acquistato dalla Gran Bretagna, finalmente in grado di assicurare una valida protezione a largo spettro.

 

 

Fonti

https://www.storiaememoriadibologna.it/lazione-austriaca-coi-gas-venefici-sul-monte-san-m-139-evento

https://nagyhaboru.blog.hu/2016/03/31/perche_il_monte_san_michele_276

https://www.historiaregni.it/lattacco-col-fosgene-sul-monte-san-michele/

https://wsimag.com/it/economia-e-politica/20109-la-grande-guerra-sul-monte-san-michele

http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/pagine/evento-storico-del-giorno-29-giugno.aspx