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AI calar delle tenebre del 17 ottobre 1942, nei pressi di Poloj, sperduta località della Croazia, i “Cavalleggeri di Alessandria”, comandati dal colonnello Antonio Ajmone - Cat, si scontrarono con forti bande partigiane di Tito. Questo combattimento viene ricordato come l’ultima carica della cavalleria italiana. Il fatto d'armi di Poloj fu un insieme di ripetute azioni di interi squadroni, operanti sia singolarmente che raggruppati, che combatterono in condizioni ambientali - terreno e luce del giorno - molto difficili, per aprirsi a viva forza, in obbedienza agli ordini ricevuti, un varco nello schieramento nemico.
Il Reggimento “Cavalleggeri di Alessandria” insieme a reparti delle Divisioni “Lombardia” e “Cacciatori delle Alpi” iniziò, ai primi di ottobre 1942, un’operazione di rastrellamento della zona di Perjasica, fra i corsi d'acqua Mreznica e Korana, per eliminare forze partigiane ivi segnalate. Il giorno 15 il Reggimento sostò a Touny in attesa di ordini. Il 16 ottobre “Alessandria”, unitamente ad una batteria del 1/23° artiglieria, al 3° squadrone carri leggeri ed ai servizi, passò alle dirette dipendenze del generale Mazza, Vice Comandante la 1a Divisione Celere “Eugenio di Savoia” e, nel primo pomeriggio, si mise in movimento da Perjasica, verso sud in direzione di Primislje. Giunto nei pressi del ponte di Cika sul Korana, venne contrastato da forze partigiane: un'azione rapida e decisa dell'avanguardia, che causò numerose perdite ai partigiani, interruppe l’azione. A sera il Reggimento rientrò a Perjasica per passarvi la notte.
La mattina del giorno 17 trascorse senza novità di rilievo in Perjasica. Alle ore 13.00 il Reggimento e le altre truppe aggregate ricevettero l'ordine di riprendere il movimento e di portarsi a Primislje; partecipa all’azione, con obiettivo e finalità diversi, un battaglione CC.NN.. Il dispositivo, con gli squadroni a losanga, si inoltrò secondo la direzione assegnata, avendo il 1° squadrone in avanguardia, ed al centro lo squadrone comando, lo squadrone mitraglieri, la sezione di artiglieria e l'autocarreggio; giungendo verso le 14.30 nei pressi di Poloj. Gli elementi posti a sicurezza della marcia osservarono la presenza avversaria e notarono, sulle quote circostanti, movimenti di forze nemiche, le quali tentarono di arrestare il movimento dei cavalleggeri per agganciarli ed attaccarli sul tergo.
Il colonnello Ajmone-Cat dà immediatamente l'ordine di sistemarsi a difesa. Alle ore 15.15 il 1° Squadrone comunicò di essere attaccato sulla fronte e sui fianchi da notevoli forze nemiche; in suo aiuto furono inviati tre carri leggeri e soltanto verso le ore 16.30 il reparto poteva sganciarsi e rientrare sulle posizioni presidiate dal grosso. Nel frattempo il colonnello Ajmone-Cat aveva provveduto, a mezzo staffetta, dato che il collegamento radio era alquanto disturbato, ad informare sulla situazione venutasi a creare il proprio comandante che dispose l'intervento immediato del battaglione CC.NN., il cui attacco però, data l'entità e l’ottima dislocazione dei partigiani, non ebbe l'effetto sperato. Il quadro generale si aggravò; il nemico, pur esercitando una pressione sulla fronte e sui fianchi, continuò a intraprendere l’attacco da tergo del dispositivo italiano posto a difesa. Le ore passavano e le ombre della sera incombente si andavano sempre più infittendo, per cui è dal colonnello impartito l'ordine di rafforzare le difese e passare quindi la notte sul posto, ma alle ore 18.00 giunge inatteso un esplicito messaggio in cifra del Comandante la Divisione: “ripiegare”.
Purtroppo le condizioni mutate sconsigliano l'esecuzione dell'ordine. Riuniti a rapporto gli ufficiali vengono impartiti gli ordini conseguenti: 1° squadrone in testa, Comando di Reggimento, squadrone mitraglieri e squadrone comando al centro, 2° squadrone sulla destra, 3° squadrone sulla sinistra, 4° squadrone in coda dietro alla sezione d'artiglieria, con il compito di agevolarne il ripiegamento e, se necessario, di proteggerla. Alle ore 18.30 gli squadroni al passo e in “formazione ordinata” iniziano la marcia.
Percorso fuori strada circa un chilometro e mezzo, il dispositivo inizia, come da preventivi accordi, ad obliquare verso nord per forzare il varco di Sr. Poloj; scatta allora, rabbiosa e violenta, la reazione delle formazioni partigiane. Prontamente il Comandante del 1° squadrone di testa capitano Antonio Petroni, ordina la carica e, mentre ancora risuonano i magici squilli delle trombe, il colonnello Comandante il Reggimento, con a fianco l’alfiere tenente Werner e lo Stendardo seguito dallo squadrone comando del capitano Calderoni e dalIo squadrone mitraglieri del capitano Martucci, carica anch'esso con decisione e sprezzo del pericolo. Trecento cavalli gettati al galoppo!
In contemporaneità d'intenti partecipa all'azione il 2° squadrone del tenente Alciator sulla destra, che, rimasto quasi subito senza comandante, viene guidato dai giovani subalterni, ed il 3° del capitano Comotti sulla sinistra. Da ogni cespuglio, da ogni siepe, da ogni rudere, partono scariche di colpi e così in quella notte da tragedia, “fra un mare di fuoco” gli squadroni di “Alessandria” superano il primo e ben guarnito sbarramento. Riordinati i resti degli squadroni a cui, per un inspiegabile richiamo, si uniscono i cavalli porta basti senza più guida, si carica e si supera di slancio una seconda e una terza linea di armi automatiche. Durante la seconda carica il colonnello Comandante affida lo Stendardo allo squadrone mitraglieri e si porta là dove maggiore è il pericolo, per esortare ed incitare i suoi cavalleggeri. Tra una carica e l'altra, gli squadroni si riordinano al passo, nonostante il buio, agli ordini dei loro ufficiali. Gli episodi di valore, di cameratismo e di coraggiosa solidarietà umana non si contano. Molti sono coloro che, avuto il proprio cavallo ucciso, ne inforcano un altro privo di cavaliere e riprendono la lotta reagendo con accanimento contro il nemico che da ogni parte incalza. Ma tanto valore non basta. Le agguerrite formazioni nemiche richiudono saldamente la loro morsa, non consentono l'esodo della sezione di artiglieria, per la quale si è immolato quasi un intero squadrone del Reggimento. Uomini e cavalli giacciono vicini come abbracciati in un ultimo anelito di solidale cameratismo. Il sottufficiale addetto alla stazione radio, raccolti alcuni cavalleggeri appiedati, trova riparo su di una collinetta, appronta una sommaria difesa e lancia, via etere, l'allarme; i primi ad accorrere saranno verso le ore 01.00 le CC.NN. che, a passo di corsa, divorano i 30 chilometri che li separano dagli assediati. II colonnello, giunto a Perjasica, riunisce i superstiti e chiede loro di prendere le armi e le poche munizioni rimaste, e di portarsi alla periferia del paese per integrare la tenue difesa del presidio. Tutti (così è scritto nella relazione del Reggimento) “risposero con slancio e con tono deciso di gente affatto scossa”. Il Comandante passa la notte assorbito dalle cure del settore a lui affidato e confortando i feriti che richiedono la presenza del loro colonnello. Numerose e gravi le perdite di quella giornata: 70 morti e 61 feriti, tra ufficiali, sottufficiali e cavalleggeri su una forza effettiva di 760 unità; 130 cavalli uccisi e 60 feriti. L'artiglieria, strenuamente difesa, ha 12 dispersi e un ferito tra la truppa oltre alla perdita dei pezzi e dei cavalli.
Il Reggimento tutto con fredda determinazione dà superba prova di eroismo e di fedeltà al proprio motto: “In periculo surgo”.
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