Piuma insanguinata
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Bersagliere vuol dire eroismo, valore, generosità, sacrificio.

Il suo nome, legato alle più alte glorie d'Italia, scuote gli animi più insensibili, illumina di fiero orgoglio il volto di ogni italiano di razza. Soldato fedelissimo, temuto dai nemici, ha sempre destato l'ammirazione del mondo aggiungendo negli annali di ogni guerra pagine di una gloria ormai tradizionale. Molti suoi episodi di valore e di supremo sacrificio non si conoscono perché chi potrebbe parlare talvolta ha anch'egli dato tutto alla Patria; altre volte il protagonista è il solo che sa, ma che modestamente tace anche perché spesso non ha la sensazione di aver compiuto un atto di eroismo, ma un comune atto di guerra. E quando dice "sono stato fortunato" oppure "l'ho scampata bella", si tradisce e chi lo conosce pensa subito ad un qualche cosa di grande, di sublime.

Questi sono i bersaglieri d'Italia, presenti ancora oggi su tutti i fronti di questa grande guerra di popoli che il Tripartito combatte per i trionfi della giustizia umana. Tra i tanti, vi è un episodio che rispecchia le adamantine virtù di questo nostro grande soldato; episodio degno di essere esaltato ed additato come esempio, tra i più fulgidi. E' uno squarcio di vita, di quella vita ardente e tumultuosa protesa verso la grande vittoria - unica meta - che i nostri magnifici ragazzi del 9° Reggimento Bersaglieri hanno vissuto dal 12 al 16 dicembre 1941 durante la vittoriosa battaglia di q. 211 di Sidi el Breghisc (Africa Settentrionale).

Pomeriggio afoso di dicembre, molesto più che mai, per i vortici di sabbia che il vento solleva. La linea è tutta una perfetta amalgama di cuori, acciaio e fuoco, barriera insormontabile e compatta contro cui il più forte numero, la corazza e la tenace insistenza di quei mercenari assetati di sangue si dovranno infrangere inesorabilmente.

Da ore una "Breda", rovente come il cuore di chi la impugna, continua, più delle altre, a vomitare fuoco, a sgranare briciole di morte. Il Caporale Zamboni, figlio generoso della forte terra di Ferrara, tenacemente avvinto alla sua arma, incurante delle pallottole che radono il ciglio della postazione battuta dal nemico, è instancabile nel farla cantare e quella melodia di morte da molto fastidio alle feroci orde nemiche che tentano invano di spegnerla vomitando su di essa torrenti di fuoco.

Tanto è la foga con cui lo Zamboni "picchia", che nessuno può pensare che egli sia ferito: un rivo rubino irrora la sua fronte limpida ed ogni tanto egli abbassa la testa per asciugare col braccio la ferita senza staccare il pugno dalla testata. se ne accorge il porta munizioni che gli manda l'infermiere per medicarlo, ma un violento spintone che lo fa ruzzolare a terra è la risposta dello Zamboni. "Va via - dice secco - che adesso ho da fare". E continua a sparare.

Nel frattempo, visti inutili i tentativi di sopraffare quell'arma terribile col fuoco delle sue mitragliatrici, il nemico incomincia a tempestare la piazzola con i mortai e le artiglierie. I primi colpi cadono intorno quasi senza efficacia, mentre la "Breda" rossa, fumante continua imperterrita a cantare seminando morte. D'un tratto un sordo schianto terribile. - Una vampata. - Qualche lamento. Una granata ha colpito in pieno la postazione e le adiacenze del camminamento che portano ad essa. Un ammasso umano informe con qualche lieve sintomo di vita.

Sei figli di Lamarmora giacciono esanimi con le carni orribilmente straziate; altri sette gravemente colpiti emettono lamenti flebili. Non sono trascorsi due minuti forse e sono appena giunti alcuni bersaglieri per dar soccorso ai feriti, che, di tra i corpi senza vita, superbamente bello nello spirito, sorge Zamboni intriso di sangue gridando: "Coraggio ragazzi! I bersaglieri del 9° non hanno mai paura!". Lo si crede miracolosamente illeso, ma la realtà è ben diversa.

"Taglia qui" dice con voce calma ed imperiosa all'infermiere mostrandogli il braccio destro penzoloni appena sostenuto da un lembo di carne "mi da fastidio". E deve incutere coraggio a quel chirurgo improvvisato che, titubante, con un temperino si accinge a recidergli il braccio. "Accendi una sigaretta e dammela - gli chiede dopo, e poiché l'infermiere si appresta a curargli anche una gravissima ferita ad un ginocchio orribilmente maciullato e dal quale sgorga copioso sangue, aggiunge: "Pensa a curare gli altri che son più gravi".

Disteso accanto ai corpi dei camerati caduti continua a fumare pronunziando alte parole di fede e di incoraggiamento per coloro che si lamentano per lo strazio delle carni ferite. Intanto sulla linea la battaglia, violenta, continua. - Il nemico superiore in numero e mezzi preme senza ottenere successi. - Il fuoco è ancora nutritissimo ed intorno continuano ad esplodere proiettili di ogni arma e calibro.

Un porta feriti, dopo che gli altri sono stati medicati, torna presso Zamboni ed alla meglio gli lega la gamba per arginare il sangue, proprio nel momento in cui dalle postazioni, impetuosa, una ondata travolgente di fluttuanti piume balza all'assalto. Il grido di "Savoia" riaccende sul suo volto un lampo di indomita energia ed imprecando contro la sorte maligna che lo tiene inchiodato, si erige a stento sul busto seguendo con l'anima i camerati lanciati verso la vittoria.

Poi d'un tratto si guarda intorno cercando istintivamente, con il cuore in gola, un'arma, una bomba. - Invano - Gli occhi cadono sul suo braccio amputatogli poco prima che giace sulla terra intrisa di sangue e con un'energia misteriosa riesce a carpirlo ed a lanciarlo con violenza verso il nemico gridando: "Non ho bombe o vigliacchi, ma ecco la mia carne e che vi possa arrecare danno! Viva il 9° Bersaglieri".

In quel lembo di carne è tutto se stesso.

Infatti poco dopo, quando ancora si ode più lontano il fragore della battaglia Egli, limpidamente cosciente, sereno, mentre la sua fronte si copre di un'aureola di gloria, purissimo tra i puri, sale nel cielo degli Eroi.

....... la "Breda" infranta, fredda e silenziosa, lo segue verso il suo luminoso destino.

 

Tenente Alberto Tortora