|
Il Monte Nero si erge fino ai 2245 m slm nelle Prealpi Giulie ed è la montagna più alta del bastione che si erge sulla sinistra del fiume Isonzo, e che dalla conca di Plezzo, per le successive vette dei monti Rosso, Sleme, Mrzli e Vodil, digrada nella conca di Tolmino. Il suo nome italiano è in realtà un errore di traduzione dallo sloveno Krn, che sta per «moncone», in ragione della forma tozza del profilo, confuso con črn, che vuol dire invece per l’appunto «nero».
La sua conquista si inserisce nella prima "spallata" offensiva, data tra il 24 maggio e la metà di giugno 1915 dall’esercito italiano sul fronte isontino, della quale ne fu l’evento militare più importante. La prima avanzata delle truppe italiane oltre l'Isonzo sulle falde del Monte Nero fu eseguita nei giorni dal 31 maggio al 2 giugno 1915 e le operazioni portarono alla conquista dell’intero contrafforte Vrsic-Vrata, nonostante i contrassalti austriaci, dei quali il più importante quello dell'11 giugno tentato da sei battaglioni di truppe scelte da montagna che, dopo aspra lotta, furono respinti sulle posizioni di partenza.
La conquista del Monte Nero però s’imponeva per dar sicurezza alle nostre posizioni. L'operazione fu affidata al III reggimento Alpini agli ordini del colonnello Donato Etna e ne furono protagoniste cinque compagnie dei battaglioni Susa ed Exilles L’attacco si svolse nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1915. Il battaglione Exilles prese le mosse dalla quota 1602 del monte Kozliàk con l’LXXXIV compagnia del btg. Exilles (cap. Arbarello) che procedette sul versante sud-ovest in direzione della vetta, sostenuta dalla XXXI compagnia dello stesso battaglione (cap. Rosso) che doveva puntare alla sella tra il monte Nero e il monte Rosso.
Il battaglione Susa agì dal monte Vrata, a nord: la XXXV compagnia del btg. Susa (cap. Varese) sulla linea di cresta da quota 2102, mentre l’LXXXV e la CII affrontarono il Potoce. La copertura di fuoco fu garantita dalle due sezioni di mitragliatrici del Susa e dalle batterie da montagna VII, IX, X e LIV del I reggimento e dall’XI batteria obici del I reggimento Artiglieria pesante campale. L'avvicinamento alle linee nemiche doveva garantire la sorpresa e le compagnie avevano ordini chiari: arrampicarsi, stare sotto, non mancare un solo passo per non perdere contatto, silenzio assoluto, non tossire, non chiamarsi neppure sottovoce e attenzione a non smuovere sassi.
I combattimenti iniziarono attorno alle 3.30. La LXXXIV compagnia travolgeva alla baionetta, parte uccidendoli e parte volgendoli in fuga, i difensori del IV reggimento fanteria ungherese; tra i protagonisti dell’impresa spicca il sottotenente Alberto Picco, che guidò l’avanguardia e nell'azione venne ferito gravemente morendo in seguito per le ferite riportate. La XXXV compagnia sorprese i difensori della quota 2138 ingaggiando un combattimento a forza di bombe a mano, fucili e persino pietre riuscendo a catturare l'intero battaglione nemico del presidio (200 uomini e 12 ufficiali). Nel complesso le perdite italiane furono ventuno con un centinaio di feriti. La conquista del Monte Nero, così rapida e travolgente, alle 4.45 era opera compiuta. Il tentativo di contrattacco ungherese iniziato attorno alle 6 fu fermato da intense sparatorie. Fu definita dagli stessi austriaci « un colpo da maestro », e rimase sempre, per tutta la durata del conflitto, uno degli esempi più luminosi e gloriosi di guerra alpina. Per essa i battaglioni Susa ed Exilles ebbero la medaglia d’argento al valore militare; il capitano Varese (morto poco più tardi di malattia) la medaglia d’oro, ed il capitano Arbarello (travolto nell’aprile del 1917 da una valanga, in Carnia) la croce di cavaliere dell’O. M. S e furono ben centosessantaquattro le altre decorazioni concesse.
Cap. Vincenzo Arbarello Sottotenente Alberto Picco Il 15 settembre 1928 sulla sua cima fu inaugurato un rifugio monumentale a celebrazione dell’impresa, poi demolito nel 1951 dalle autorità jugoslave.
|