Caporetto: esperienze organizzative
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Ricorre quest'anno il centesimo anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale. Fu il primo grande conflitto mondiale perché non solo coinvolse tutte le grandi Nazioni europee ma si allargò a territori dell’Africa, dell’Asia e a tutti gli oceani. Milioni di persone furono coinvolti da sacrifici, morti e privazioni di ogni genere ed il mondo intero ne uscì sconvolto ma anche profondamente rivoluzionato dal progresso tecnologico che la necessità di prevalere sull’avversario stimolò in tutti i belligeranti.
La “Grande Guerra”, così viene anche chiamata, nasce, tra le molteplici cause che la determinarono, soprattutto da intenzioni espansionistiche ed egemonistiche di Germania (riunificata sotto la guida della Prussia) e dell'Austria Ungheria (sempre orientata ad una espansione territoriale balcanica) che vennero in contrasto con la Russia, alleata di Francia ed nghilterra. Il casus belli che fece scoppiare il conflitto nell’agosto del 1914 fu l'assassinio dell'arciduca austriaco Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero Asburgico, a Sarajevo per mano di un attentatore serbo-bosniaco; un'escalation di dichiarazioni di guerra coinvolse quindi tutto il vecchio continente. In Italia si decise di non ritenersi obbligati a seguire gli alleati Germania ed Austria-Ungheria nel conflitto per le modalità con le quali lo stesso era stato dichiarato ma il governo, in questo stato di neutralità, venne corteggiato per una presa di posizione da entrambi gli schieramenti, facenti leva sulla volontà di completare l’unificazione del territorio nazionale mediante il controllo delle zone ancora sotto il dominio austriaco, Soddisfano maggiormente le promesse territoriali ricevute dalle potenze dell’Intesa e, nel maggio 1915, l’Italia entra in guerra a fianco di Francia, Inghilterra e Russia contro l’Austria-Ungheria e la Germania. Una guerra immaginata inizialmente di breve durata e di movimento si tramuta in breve tempo in una guerra di posizione. I progressi tecnologici degli armamenti delle nazioni belligeranti influirono in maniera determinante su questa trasformazione del metodo di combattimento che trovarono impreparati gli stessi Alti Comandi; questa nuova tattica militare impose innovazioni e cambiamenti per consentire di prevalere sull’avversario e per rispondere al meglio a quanto a sua volta utilizzato dall'avversario. La costruzione delle trincee protette dal filo spinato, le mitragliatrici, la maggiore gittata dei pezzi d’artiglieria, l’utilizzo del gas venefici, lo sviluppo degli aeroplani, dei carri armati e dei sottomarini, sono tutti progressi tecnologici che influirono pesantemente sulle operazioni militari. A fare le spese più care, in termini di sacrifici e di perdite furono in primis i soldati ma anche i civili abitanti nelle zone di guerra e più in generale tutte le popolazioni delle Nazioni in guerra. Un numero enorme di morti (oltre 9 milioni di soldati) e un ancor maggior numero di mutilati e con problemi psicologici furono l’eredità che la Grande Guerra lasciò alle popolazioni coinvolte. Ma tali innovazioni generarono anche progressi organizzativi negli eserciti che sono tutt’ora validi nelle organizzazioni produttive e, come vedremo, influirono talvolta in modo decisivo, su talune battaglie.
L'Italia entra in guerra con un anno di ritardo rispetto agli altri belligeranti e può quindi fare tesoro delle esperienze maturate dagli Alleati sui campi di battaglia francesi. L’intendimento strategico del Comando Supremo italiano sotto la guida del generale Cadorna vede quale fronte di operazioni principale il basso Friuli lungo il fiume Isonzo con l’intendimento di sfondare le linee austro-ungariche per puntare verso Lubiana e poi dirigersi verso il cuore dell'Austria; sul restante fronte, dal passo dello Stelvio lungo il lago di Garda, sulle Giudicarie, l’altopiano di Asiago e in Carnia, si avranno solo azioni locali tendenti a migliorare le posizioni in quanto l’asprezza del territorio non permette azioni importanti in profondità. L'iniziativa sul fronte viene quindi assunta dall’Esercito Italiano che, in 2 anni, effettua ben 11 grandi attacchi alle posizioni austroungariche – le cosiddette “11 spallate” - lungo l’Isonzo per ricercare quello sfondamento delle linee nemiche che permetterebbe di dilagare verso l'Austria Ungheria. Ma lo sfondamento non avviene; ogni battaglia, a prezzo di ingenti perdite umane e con grande consumo di materiali,genera solo sterili progressi territoriali (unica conquista di rilievo la città di Gorizia)su di un terreno, l’altopiano del Carso, che da solo rende difficoltoso e dispendioso il rifornimento dei i reparti impegnati. E qui poniamo subito in rilievo un aspetto importante: 11 battaglie condotte con la stessa tattica e solo con qualche nuovo accorgimento (visti gli scarsi risultati del bombardamento d’artiglieria per aprire varchi nei reticolati di filo spinato davanti alle trincee vengono introdotte le bombarde, potenti mortai con esplosivo più dirompente) tutte senza grandi risultati apprezzabili fanno sorgere la domanda come mai tali esperienze non abbiamo ingenerato un cambio di tattica da parte del Comando Supremo. Vedremo nel prosieguo come in altri eserciti le tattiche furono cambiate con risultati apprezzabili.
L’undicesima battaglia dell'Isonzo mette in seria difficoltà l'esercito austro-ungarico che vede vicino il tracollo laddove l’Esercito Italiano effettui un nuovo attacco. L’Alto Comando Asburgico chiede quindi aiuto agli alleati tedeschi per bloccare le iniziative italiane e, di comune accordo, si decide di attaccare le linee italiane prelevando truppe esperte delle operazioni in montagna dal fronte trentino e dal fronte occidentale. Per gli Imperi Centrali è uno sforzo notevole in quanto il blocco navale imposto dagli Alleati ha ridotto le materie prime e solo lo spostamento dei reparti via ferrovia genera un consumo di carbone che fa risentire l’approvvigionamento alimentare dei grandi centri urbani. L’attacco viene deciso nell’alto corso dell’Isonzo, nella zona tra Plezzo, Caporetto e Tolmino, dove verrà esercitato il massimo dello sforzo. L’intendimento è sfondare le linee italiane, dilagare nella pianura veneta e prendere da tergo il grosso dell’Esercito Italiano schierato sul Carso. L’attacco, secondo i metodi tedeschi, viene minuziosamente preparato in ogni particolare: obiettivi che dovranno essere battuti dall’artiglieria, aree da bombardare con gas, direttrici di attacco delle truppe, obiettivi immediati e in seconda linea. L’azione inizia il 24 ottobre 1917 e, complice l’impreparazione italiana, le favorevoli condizioni atmosferiche, la preparazione e la determinazione dei reparti attaccanti, vede tutti gli obiettivi raggiunti ancor meglio delle più rosee previsioni. Caporetto, località sull’Isonzo con un importante ponte, darà il nome alla battaglia. Per salvare la maggior parte dell'Esercito Italiano schierato sul basso Isonzo, il generale Cadorna è obbligato ad una ritirata prima lungo il fiume Tagliamento e poi lungo il fiume Piave; su queste nuove posizioni si attestano gli Italiani. Il Monte Grappa, il Montello ed il corso del Piave sono ora i teatri di battaglia dove gli austriaci (a dicembre i reparti tedeschi sono ritirati ed inviati nuovamente sul fronte occidentale dove, assieme ai reparti arrivati dal fronte orientale, resi liberi dalla resa della Russia, in preda alla rivoluzione bolscevica, intendono sferrare un’offensiva definitiva contro gli Alleati, che man mano si stanno rinforzando con l’arrivo di truppe americane) cercano di sfondare, ma gli italiani resistono più che mai motivati dalla difesa del territorio della Patria. Queste battaglie logorano l’esercito austro-ungarico a tal punto che, nell’autunno del 1918, complici le spinte autonomiste dei vari stati, si dissolve permettendo la vittoria finale del 4 novembre 1918. Passiamo ora ad analizzare più in dettaglio cosa avvenne nell'Alto Isonzo in quel fine ottobre 1917 e quali insegnamenti possono essere tratti ancora oggi dalle strutture organizzative.
Delega Nell’esercito tedesco, le prime battaglie combattute sul fronte occidentale avevano dimostrato come la miglior visione tattica sul campo era posseduta dai reparti impegnati nell’azione. Agli ufficiali ed ai sottufficiali comandanti di reparto veniva quindi data ampia delega nel richiedere interventi di supporto all’azione del proprio reparto, non dando troppo rilievo quindi alle gerarchie. Ad esempio: un Tenente che aveva il suo reparto bloccato da linee avversarie poteva richiedere ad un colonnello comandante di una batteria d'artiglieria fuoco di supporto sulle linee avversarie per permettergli di superarle agevolmente. Nell’Esercito Italiano tali accorgimenti non esistevano. Ogni richiesta, in qualunque momento necessitasse, doveva essere inoltrata per via gerarchica e solo un pari grado poteva richiedere supporto. Appare evidente la perdita di efficacia che tale procedura poteva comportare all’intervento. Nell’Esercito Tedesco ai comandanti sul campo veniva fornita ampia delega per il raggiungimento degli obiettivi assegnati.
Efficienza organizzativa Il 1917 era il quarto anno di guerra (terzo per l’Italia) ed all’interno di tutti gli eserciti iniziava a serpeggiare un certo malcontento per le privazioni ed i rischi sempre maggiori per i soldati che vivevano in trincea. Nell’esercito italiano gli attacchi logoravano i reparti che riportavano perdite oltre il 60% degli effettivi tra morti e feriti. I reparti venivamo inviati, quando possibile, nelle retrovie per riorganizzarsi, ricevere i rimpiazzi e riposare. Possiamo però solo vagamente immaginare la prostrazione dei soldati sopravvissuti alla battaglia che avevano visto cadere a decine i propri compagni d’arme, le sofferenze fisiche dovute alle malattie ed alla scarsa nutrizione. I rincalzi che provenivano dalle retrovie non erano sufficientemente addestrati e l’inserimento richiedeva tempo. Tra gli ufficiali poi, che venivano presi tra i borghesi con livello di istruzione, non venivano considerate le promozioni dei sottufficiali con esperienza acquisita sul campo ma appartenenti alle classi proletarie. Tutti questi aspetti contribuivano ad avere reparti in fase di riorganizzazione che non potevano evidentemente possedere l’efficienza operativa di un reparto ben addestrato e coeso. Negli eserciti si verificavano spesso casi di diserzione con l’intento di porre fine alle proprie fatiche della guerra. Ciò avveniva anche nell’autunno del 1917, Alcuni ufficiali disertori austriaci portarono informazioni circa la presenza di truppe tedesche in previsione di un importante attacco ed alcuni addirittura i piani di operazione dei propri reparti con orari, linee di movimento, composizione dei reparti, obiettivi. Pur con qualche dubbio, il Comando Supremo italiano dispose lo spostamento di reparti nell'Alto Isonzo per rafforzare il dispositivo difensivo. Erano reparti reduci dall’undicesima battaglia dell’Isonzo con le problematiche sopra descritte. Ancorché rappresentassero quindi un reggimento o una brigata, non potevano averne l’efficienza combattiva simile. Oltretutto molti reparti vennero inviati negli ultimi momenti antecedenti l’offensiva, che si credeva sempre più certa con l’aumentare delle informazioni, ed arrivarono sul terreno che avrebbero dovuto difendere – terreno a loro totalmente sconosciuto – solo pochi giorni od ore addirittura prima dell’inizio dell’offensiva austro-tedesca. Lo schieramento difensivo assunto fu quindi solo sulla carta ma non sul terreno dove, in effetti, alla prova pratica non resistette all’urto nemico, la cui composizione dei reparti era curata in ogni minimo dettaglio.
Cambiamento Tutte le nazioni combattenti cercarono miglioramenti o cambiamenti delle tattiche di battaglie e dei mezzi che consentissero loro di disporre di un competitivo vantaggio durante le operazioni militari. L’attacco frontale a posizioni trincerate e protette da reticolati prevedeva un martellamento di artiglieria tendente a sconvolgere le difese in modo che, al momento dell’assalto, fossero il più possibile distrutte ed i difensori sconvolti e disorientati. I difensori, durante il bombardamento, si ritiravano in rifugi interrati per uscirne al termine e ripristinare le armi e le difese per resistere all’attacco. I Tedeschi, durante le battaglie sul fronte occidentale avevano modificato la loro tattica di assalto. Il bombardamento doveva essere concentrato e non prolungato con alternanza di frequenza di tiro per non dare riferimenti ai difensori; poco prima del termine del bombardamento, piccoli reparti organizzati ed armati con mitragliatrici portatili e lanciafiamme si avvicinavano alle linee avversarie nella terra di nessuno in modo che, al termine del fuoco dell’artiglieria, potevano fare irruzione nelle trincee avversarie e sorprendere i difensori in uscita dai ricoveri. Questa tattica, sconosciuta agli italiani, permise la sorpresa su talune posizioni e la loro conquista senza perdite tra gli austro-tedeschi. Tra le nuove armi che fecero la comparsa sui campi di battaglia della Grande Guerra la mitragliatrice fu quella che senz’altro fece cambiare le tattiche di combattimento rendendo inefficaci gli attacchi frontali di fanteria e le cariche di cavalleria. L’arma, montata su treppiede e talune con serbatoio di acqua per il raffreddamento della canna, era sostanzialmente difensiva anche se tutti i belligeranti ne prescrivevano l’uso durante gli assalti in accompagnamento della fanteria; il peso del complesso però rendeva oltremodo difficoltoso questo utilizzo prescritto. Anche in questo caso i Tedeschi compresero per primi l’utilità di disporre in fase di attacco di un elevato volume di fuoco e dotarono i propri reparti di assalto di mitragliatrici modificate ed alleggerite nel sostegno, rendendo portatili tali armi. Un cambiamento che produsse un indubbio vantaggio sul campo.
Responsabilità Nell’esercito tedesco veniva data responsabilità ai comandanti di reparto impegnati nell’azione al raggiungimento degli obiettivi assegnati. Ne conseguiva che anche i singoli comandanti di squadra conoscevano dettagliatamente i propri obiettivi e quelli dell’intera operazione con la possibilità, nello svilupparsi dell’azione, di regolarsi al meglio e proseguire l’azione verso obiettivi secondari e più di grande portata in armonia con il quadro generale dell’azione. I comandanti di reparto avevano quindi grande esperienza in battaglia con possibilità di adattarsi rapidamente all’evolversi degli avvenimenti. Un battaglione da montagna del Wurttemberg fu affidato all'abile primo tenente Erwin Rommel di 26 anni, che aveva conseguito una grande esperienza sul fronte romeno. Travolta la prima linea italiana, nelle prime ore della battaglia e resosi conto della confusione che regnava nelle linee italiane, con un'azione fulminea riuscì a risalire le pendici dell'altopiano del Kolovrat e ad avanzare rapidamente verso il Monte Matajur, catturando migliaia di soldati e contribuendo attivamente alla disfatta italiana. Nell’Esercito Italiano la gerarchia era rigidamente rispettata ed ogni comandante limitava le proprie azioni agli ordini ricevuti. L’iniziativa non era stimolata. Ne conseguiva che i quadri comandanti non erano allenati ad improvvisare o ad iniziative personali durante il combattimento e pertanto si perdevano opportunità di sfruttamento degli obiettivi raggiunti, come il grande risultato ottenuto dal tenente Rommel.
Abbiamo visto come atteggiamenti organizzativi, abitudini e comportamenti non sempre virtuosi hanno influito, anche pesantemente, sulla sconfitta rimediata dall’Esercito Italiano nel fine ottobre 1917 lungo il corso dell’Alto Isonzo. La sconfitta di Caporetto si può quindi affermare che non fu una vera e propria sconfitta militare in battaglia, in quanto priva di veri e propri scontri importanti sul campo. Cartagine ebbe tra i suoi capi militari un brillante tattico, Annibale Barca, che, nella sua invasione della penisola italica affrontò un esercito romano guidato dal console Varrone numericamente superiore alle sue forze ma con una tattica, ancora oggi studiata dalle scuole militari, lo sconfisse pesantemente nella battaglia di Canne. Nell'anno 1571 gli stati cristiani organizzarono una potente flotta per arginare il potere Ottomano nel Mediterraneo; questa flotta affrontò nell'ottobre di quell'anno la flotta musulmana a Lepanto sconfiggendola e arrestando quindi l'espansione musulmana nel Mediterraneo. Nel 1815 Napoleone, fuggito dall’esilio all'Isola d'Elba,e ripreso il potere in Francia, si vide costretto a riprendere le ostilità contro l'alleanza anglo-russo-austro-prussiana e decise di affrontare, prima che gli eserciti si congiungessero, le truppe inglesi ed alleate a Waterloo. Ne derivò una battaglia epica nella quale alla fine della giornata le truppe francesi furono sconfitte e Napoleone per sempre. Tre battaglie che ben rappresentano sconfitte militari: due eserciti si affrontano sul campo; tattiche, armi e combattimenti portano alla vittoria o alla sconfitta. Caporetto fu anche – e forse soprattutto - una sconfitta organizzativa di un esercito che, purtroppo, non aveva saputo mettere in grado le sue truppe di confrontarsi con il nemico al meglio delle proprie possibilità.
In questo breve e sintetico racconto della battaglia di Caporetto abbiamo estrapolato ed analizzato alcuni atteggiamenti organizzativi che incisero profondamente sul risultato finale della battaglia. Le esperienze che la storia ci fornisce devono quindi insegnare alle organizzazioni aziendali odierne come deleteri possono essere comportamenti organizzativi non virtuosi, non presidiati personalmente o ancora più, istituiti senza convinzione. |