Bombe sul Bahrein
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Nell’ottobre del 1940 venne progettata da Superaereo una missione aerea offensiva volta a rendere difficoltosi i rifornimenti di carburante all’Armata Britannica nell’Africa settentrionale: il bombardamento degli impianti petroliferi di Manama nelle isole delle Bahrein.

I bombardamenti quasi quotidiani delle raffinerie di Haifa e di Tripoli di Siria non si rivelavano sufficienti ad indebolire la capacità di movimento dell’8° Armata britannica e con questa azione si mirava ad indebolire significativamente la capacità produttiva di carburante.

Il ten.col. Ettore Muti (allora segretario del PNF) accettò immediatamente la proposta e chiese il sostegno del gen. Pricolo, capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica, che gli promise quattro SM82 a condizione che l’analisi rigorosa del piano di volo lo valutasse realizzabile.

Nel lunghissimo volo (4.100 km) fondamentale era la funzione del primo velivolo: affinché esso fosse distinguibile dai gregari anche nelle ore notturne sul dorso superiore dell'ala furono dipinti dei rombi bianchi su cui era diretto il fascio luminoso di due lampade. Venne anche stabilito l'impiego di comunicazioni radio a piccolissima frequenza per riagganciare alla formazione gli aerei eventualmente staccatisi. Oltre a problemi di rotta, il collegamento con il primo SM82 era essenziale anche per il puntamento in quanto la formazione doveva sganciare il carico offensivo ad «imitazione» del primo velivolo.

Per la missione si allestirono 4 SM82 Marsupiale del 41° Gr. Autonomo con un peso totale al decollo di 19.500 kg con 3.000 litri aggiuntivi di carburante ed un carico di circa 1.500 kg di bombe dirompenti da 15 kg caduna.

Ai comandi dei velivoli vi erano sul primo aereo il ten.col. Ettore Muti, il magg. Giovanni Raina, il cap. Paolo Moci; sul secondo il ten.col. Fortunato Federici, il cap. Aldo Buzzanca, il ten. Emanuele Francesco Ruspoli; sul terzo il cap. Giorgio Meyer, il ten. Adolfo Rebex, il mar. Aldo Carrera; sul quarto il cap. Antonio Zanetti, il ten. Vittorio Cecconi, il maresc. Mario Badii.

Non essendo possibile il ritorno per la stessa rotta a causa della limitazione di autonomia dei velivoli SM82 impiegati e per la prevedibile reazione avversaria, la formazione doveva proseguire per atterrare nel territorio dell'Africa Orientale Italiana precisamente a Massaua.

La formazione decollò da Gadurrà alle ore 1710 del 18 ottobre 1940.

Seguiamo ora il racconto della missione che ne fa uno dei protagonisti: il Capitano Paolo Moci:

Dopo il decollo, quando in formazione completa iniziavamo la navigazione in salita verso il Libano, mi accorsi che ero tutto sudato come se fossi uscito da una sauna! Ma ero sereno, rilassato e soddisfatto: ce l’avevamo fatta! Alle ore 1835 raggiungiamo la quota ottimale di navigazione 3.000 metri. Sopraggiunge presto la notte. Intravediamo sulla nostra sinistra l’isola di Cipro e correggiamo la rotta per la presenza di forte vento da Ovest. In quel momento stavamo volando sopra un banco di nubi a carattere temporalesco: lampi frequenti illuminavano vistosamente per un attimo il dorso dei cumuli nell’oscurita' della notte poi tornava il buio. Poco dopo la luna si presentava alla nostra vista e di colpo aumentava la visibilita'. La presenza delle nubi l’aveva occultata fino quel momento, alle 2000 riconosciamo Beirut, e venti minuti dopo Damasco: questo e' l’ultimo punto di riferimento, dopo di che il deserto, fino alle coste dell’obiettivo. Navigazione tranquilla per un certo tempo e poi saliamo a quota 3.500 metri, per superare formazioni cumuliformi. Poco dopo, alle ore 2230 Federici informa di aver perduto il contatto visivo con la formazione. Per agevolare i gregari nel tenerci d’occhio durante il volo notturno avevo fatto dipingere sulle nostre ali due grossi rombi bianchi, illuminati con due lampade che rendevano visibili l’aereo anche da lontano. Avevo anche previsto, in caso di perdita di contatto visivo, una procedura di ricongiungimento, consistente in un’emissione radio del capo pattuglia, a potenza di antenna ridotta, che avrebbe consentito ai gregari. dotati di radiofaro di ricollegarsi nuovamente con noi. Non mi preoccupavano ne' gli avvistamenti ne' le intercettazioni radio nemiche, perche' avevo calcolato che, dopo le prime ore di volo, a meno della zona d’arrivo, non avremmo dovuto incontrare caccia avversari Alle 2240 Federici. aiutato dalla nostra trasmissione, e' nuovamente in formazione. La visibilita' e' diminuita per l’aumento della foschia, tanto che Federici e Zanetti perdono il contatto con la formazione. Ma 20 minuti dopo con la solita procedura, sono di nuovo in pattuglia. Alle ore 2420 siamo sulla costa del Golfo Persico, e riconosciamo Dohat-Az-Zar.

Dirigiamo verso l’obiettivo. Alle ore 0190 aumenta ancora la foschia, riduciamo a quota di 1.000 metri per non perdere il contatto con il terreno. Alle ore 0030 ancora emissione d’antenna per agevolare il velivolo n. 4 (Federici) a mantenere la formazione. La visibilita' e' effettivamente scarsa. Per questo scendiamo a quota 1.500 metri e così possiamo riconoscere la citta' di EI Katiff.

Alle ore 0200 con l’aiuto di alcuni fari in funzione, riconosciamo le isole Bahrein e un quarto d’ora dopo siamo su Manama. Alle ore 0220 tiriamo sulla raffineria, ben identificata perche' illuminata a giorno. Anche Manama e Mubarrak sono illuminate. Roma dalla cabina di puntamento vede i bagliori delle esplosioni delle nostre bombe sulla raffineria e dintorni. Per garantire la simultaneita' del tiro delle bombe dei gregari con le nostre, usammo l'accorgimento di accendere una luce molto appariscente sulla cabina di puntamento nell’attimo dello sgancio del primo grappolo di bombe.

Lanciammo sull’obiettivo 132 bombe da 15 Kg. l’una, cioe' bombe relativamente piccole per consiglio dei tecnici della nostra Direzione Generale delle Armi e delle Munizioni: essi le ritennero piu' adatte, essendo numerose a provocare danni diffusi agli impianti da colpire. In effetti, dalle informazioni successive venimmo a conoscenza dopo qualche giorno, di aver provocato seri danni alle strutture di raffinazione.

L’aeroporto di Manama, sentendo aeroplani in volo, non penso' nemmeno per un attimo all’ipotesi che fossero nemici ed accese le luci della pista per agevolare l’atterraggio ma le chiuse immediatamente subito dopo il nostro bombardamento. Dirigiamo quindi in rotta per Massaua (Africa Orientale) e lentamente riprendiamo quota d’ottima navigazione ai fini del minor consumo di carburante e cioe' 3.000 metri. La visibilita' e' notevolmente migliorata. Alle 0600 vediamo davanti a noi una serie di catene montuose con andamento generale Nord-Sud. Sono le montagne che ci separano dalla costa, sotto i noi, sul terreno i primi rari segni di vegetazione. Sul nostro traverso a destra, verso Nord, c’e' la Mecca e Medina. le citta' di Maometto ed allora mi torna in mente un avviso che ci era stato comunicato a Roma, prima della partenza: si dice che la zona che stiamo sorvolando essendo vicina alla Mecca e' vietata ai non mussulmani. Se fossimo stati sorpresi a terra, come cristiani, saremmo stati sicuramente scotennati dagli ortodossi islamici. Ma eravamo tranquilli: i motori andavano bene e non avevamo nessun’intenzione di scendere per cogliere ... qualche fiore del deserto.

Alle ore 0730 siamo sulla verticale della costa: sotto di noi c’e' l’abitato di Wakla e riconosciamo l’isoletta di Simer. Rinunciamo a dirigere su Massaua e poggiamo verso Zula perché in quel momento c’informano via radio da terra che l’aeroporto di quella citta' e' sotto bombardamento. La presenza di forze aeree avversarie in zona ci suggerisce di portarci subito in volo radente sul mare per evitare, se possibile, sgraditi incontri con i caccia nemici: i nostri aerei sarebbero sicuramente perdenti in un combattimento con i Gloster Gladiator che stavano operando a Massaua. Alle ore 8.25 siamo sull’isola di Gahbihu del gruppo delle Dahlak e dopo 20 minuti atterriamo a Zula. Il vento favorevole nel primo tratto del volo ci consente di giungere all’atterraggio con una sufficiente riserva di benzina; avevamo chi piu' e chi meno un’autonomia residua di circa 30 minuti.

Il volo coprì la distanza in 15 ore e 33 minuti e fu la più lunga tra quelle effettuate in totale autonomia di volo fra tutte le aeronautiche belligeranti nei teatri d'operazione europei ed orientali.