Attacco a Suda
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A fine Dicembre 1940 8 “barchini” M.T. (Motoscafi Turismo) vennero trasferiti da Augusta a Lero a bordo dei cacciatorpediniere Dardo e Strale.  Il comando della X Flottiglia MAS aveva allo studio l’attacco alla Baia di Suda, nell’isola di Creta.

Scoppiato il conflitto con la Grecia, l’isola di Creta venne occupata dagli inglesi che attrezzarono la baia di Suda come base per le loro navi. Le fotografie della ricognizione aerea risultavano preziose: erano state identificate batterie sistemate sui costoni della baia, nonché delle ostruzioni retali che impedivano l'accesso alla baia. All’imbocco della baia c’era un primo sbarramento, descritto come facilmente superabile. In totale gli sbarramenti individuati sulle aerofotografie erano 3.

Sul finire del mese di marzo 1941 Comando Marina ritenne che il momento fosse propizio.

Purtroppo, a seguito di azione aerea vennero dannieggati due M.T.; in riparazione non poterono prendere parte all’azione che venne condotta da 6 barchini.

I cacciatorpediniere Crispi (C.F. Ferruta) e Sella (C.C. Redaelli) giunsero a Stampalia (Isole Cicladi) il pomeriggio del giorno 24 Marzo.

Il 25 marzo 1941alle ore 1730, il Crispi e il Sella ricevettero l’ordine di salpare per la missione assegnata.

I due cacciatorpediniere giunsero sul punto di rilascio degli MT, posto a 6 miglia a Nord della penisola  di Acrotiri, alle ore 2355.

Gli MT vennero messi a mare ed iniziarono la navigazione verso la baia assumendo una formazione in linea di fila con rotta 230°, velocità 6 nodi.

Dopo 2 ore e 30‘ di navigazione, alle 0230 del giorno 26, gli assaltatori furono all’imboccatura della baia.

           

Grafici dell'azione

Alle 0245 vennero raggiunte le ostruzioni del primo sbarramento che venne superato agevolmente.

Nonostante una nutrita trasmissione di segnali ottici tra le rive della baia. la formazione proseguì con i motori al minimo e raggiunge il secondo sbarramento defilando a Nord della piccola isola; si trattava di un tratto di mare molto stretto vicinissimo ad essa e con molti scogli affioranti dai bassi fondali, ma proprio per questo probabilmente meno sorvegliato. Anche in questo caso lo sbarramento venne agevolmente superato: si trattava di gavitelli distanti fra loro più di due metri, collegati da una catena che non era nemmeno affiorante: bastava alzare a metà il blocco di sollevamento delle eliche.

Alle 0430 la formazione raggiunse il terzo sbarramento costituito da sfere galleggianti collegate da gomiti “ad astuccio”, non superabile con mezzi silenziosi.

Venne presa la decisione di aggirarla; le grosse boe di testa dello sbarramento erano congiunte con una catenaria alla costa in un punto dove sorgeva una piccola costruzione in muratura. Sull’estrema destra, a pochi metri da terra, una grossa catena collegava l’ultima boa con uno spuntone di roccia. Sollevata abbastanza dall’acqua, non fu un problema per i bassissimi e piatti barchini infilarsi e passare sotto.

Barchini in addestramento nel superamento di ostruzioni

Dalla piccola costruzione si udivano distintamente provenire le voci delle sentinelle ma tutti passarono senza destare sospetto.

Alle 0445 gli incursori spensero i motori e si raggrupparono intorno al comandante T.V. Faggioni.

Dopo alcune manovre di aggiustamento, il gruppo si posizionò nel punto più idoneo per condurre l’attacco. Ora non c’era più che da rilevare bene la posizione delle navi e da attendere il momento più favorevole per l’attacco.

Faggioni, con un potente binocolo tedesco, rilevò sulla sua sinistra, a 300 metri di distanza, la sagoma di un incrociatore. Intravedette anche una petroliera sulla sua destra e un gruppo di mercantili a prora.

Faggioni si avvicinò per una identificazione finale degli obiettivi rilevati e al ritorno assegnò ai suoi uomini i bersagli:

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Cabrini e Tedeschi contro l’incrociatore;

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Beccati e Barberi contro la petroliera;

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Faggioni e De Vito di riserva, pronti a colpire nel caso in cui l’attacco contro l’incrociatore non avesse successo.

Mentre si attendeva una luce più favorevole per distinguere nettamente i bersagli, Faggioni ripeté ai suoi uomini e precisò ad essi il luogo dove avrebbero dovuto riunirsi dopo l’attacco per sfuggire alla cattura; nel frattempo, alle 0500, sull’incrociatore si batteva la sveglia e si accendevano le luci verdi e rosse al centro dello sbarramento.

Cabrini e Tedeschi iniziarono a muoversi lentamente. La manovra consisteva nell'avvicinarsi nel maggior silenzio possibile fino a 150 metri dal bersaglio, poi a tutta velocità per il balzo decisivo.

Bloccato il timone verso il bersaglio, l'operatore abbandona il motoscafo

Raggomitolati sul sediolo, a 80 metri dall’obiettivo, tirarono la maniglia di scoppio che toglieva la sicurezza alla carica di 350 Kg di tritolital e bloccarono il timone dopo aver puntato il barchino nella direzione giusta. Poi sganciarono la spalliera del sediolo che si ribaltò indietro, tramutandosi in uno zatterino che finì nella scia ospitandoli.

A bordo dell’incrociatore, sentendo tutto quel baccano, pur senza veder nulla, i mitraglieri aprirono il fuoco verso il cielo credendo in un attacco di aerosiluranti.

Colpito, l’incrociatore sbandò e stava per capovolgersi. Fu preso e a rimorchio e fu trascinato nelle vicinissime acque basse. Con la carena spezzata andò a poggiarsi su un fondale di circa 5 mt.

HMS York dopo essere stato attaccato anche dagli Stuka

Gli altri barchini si lanciarono quasi simultaneamente all’attacco. La petroliera, per un totale di oltre 30.000 tsl, colò a picco.

Erano circa le ore 0515 del giorno 26 Marzo 1941.

Faggioni vide all’ultimo momento, un altro incrociatore che si riforniva di carburante nascosto dalla petroliera stessa. Scagliò il barchino contro quello, ma la carica esplose contro un altro ostacolo.

Dopo l’attacco gli assaltatori iniziarono a nuotare nelle tenebre, verso il punto di riunione.

Erano circa le 0700 quando furono catturati e condotti al Comando di Polizia Inglese della Canea.

 

HMS Incrociatore York

 

Nel suo libro “A sailor’s odyssey”, l’ammiraglio Cunningham così si esprime a proposito di questa impresa:

“Fu proprio a Suda che, nelle prime ore del 26 marzo, ricevemmo un duro colpo allorchè il porto venne attaccato da sei veloci motoscafi esplosivi.

L’incrociatore York fu gravemente danneggiato, i locali caldaie e macchine allagati, e dovette essere portato a secco.

Non aveva vapore ne forza per esaurire l’acqua, per l’illuminazione o per brandeggiare le torri.

Anche la cisterna Pericles fu colpita ed ebbe uno squarcio a metà nave, quantunque la parte maggiore del suo prezioso carico non venisse perduta.

Il nostro unico incrociatore con cannoni da 203 era dunque fuori combattimento.

Ancora una volta dovemmo scontare la pena per l'insufficiente difesa di una base navale”.

 

 

Fonti

http://www.shipbucket.com/index.php