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La notte fra il 13 e il 14 maggio 1918 è tiepida e stellata. Il barchino assaltatore Grillo lascia Venezia rimorchiato da una torpediniera con destinazione Pola, città della penisola istriana sede di base navale austro-ungarica, dove sono di stanza le potenti unità di linea della Prima Squadra, quattro corazzate da 21.000 tonnellate e tre da 15.000 tonnellate.
Cartolina commemorativa del forzamento di Pola - quadro a olio di Vittorio Pisani Il Grillo, al comando del T.V. Mario Pellegrini, viene trainato da un silenzioso motoscafo a propulsione elettrica in prossimità del primo sbarramento a protezione del porto; ve ne sono altri nove tutti uguali, composti da grossi pali conficcati nel fondo, sporgenti in superficie e collegati tra loro da pesanti catene, cavi d'acciaio e reticolati. Gli uomini dell’equipaggio devono tagliare i cavi troppo alti sull’acqua con i tronchesi in dotazione. Passano due minuti di lavoro febbrile quando, improvvisamente, un fascio di luce illumina il mezzo d’assalto. E’ solo un attimo, ma gli uomini, colti di sorpresa, interrompono il lavoro: Pellegrini comprende che il fattore sorpresa è ormai sfumato, la ragione e le circostanze suggerirebbero il rientro, ma egli decide che bisogna rischiare. Ordina pertanto di riprendere il lavoro, fino al momento in cui, reciso l'ultimo cavo, con i cingoli muniti di ganci, il Grillo si arrampica e supera Io sbarramento e ricade sull'acqua con un tonfo fragoroso. Barchini tipo "Grillo" ormeggiati in laguna a Venezia all'ispezione dell'Ammiraglio Thaon di Revel (di schiena con il cappotto) Con i motori al massimo viene superata la distanza che separa dal secondo sbarramento, ma, durante le operazioni di scavalcamento, viene colpito da più fasci di luce ed una mitragliatrice inizia a sparare unitamente ad un cannone. Altro tonfo, ed altra corsa verso il terzo sbarramento; ora le cannonate si susseguono senza sosta, colonne d'acqua attorniano la silurante che, tuttavia, riesce a superare sia il terzo che il quarto sbarramento. Vicino al quinto sbarramento, uno dei motori, colpito da schegge, si arresta e Io scafo, ormai crivellato di proiettili, imbarca acqua. Davanti si profila una cannoniera austriaca che taglia la rotta ed apre il fuoco, mentre razzi illuminanti solcano la notte.
Ormai l'impresa è al suo epilogo, la silurante sta affondando: Pellegrini ordina all’equipaggio di salvarsi in acqua, quindi si precipita nel locale motori, apre le valvole di allagamento per accelerare l'affondamento e regola le cariche esplosive di autodistruzione. Poi anch'egli si getta in mare, e quando poco dopo viene raccolto, insieme ai suoi uomini, da una imbarcazione austriaca, dal fondo del mare si percepisce un sordo boato di un'esplosione. AI largo, a diverse miglia di distanza, l'equipaggio della torpediniera ha visto i razzi illuminanti che vengono interpretati come un segno di vittoria come era stato convenuto. La prima operazione d'assalto con mezzi speciali era fallita. Il mezzo, anche se ingegnoso, si rivelò lento, rumoroso per via dei cingoli, ingombrante e non occultabile. Tuttavia l'esperienza acquisita sarebbe servita in seguito nel progettare i successivi mezzi d'assalto.
Raffaele Paolucci, tenente medico della Regia Marina Italiana, coltiva un'idea tutta personale per colpire il nemico austriaco, specialmente dopo la rotta di Caporetto che ha incrinato non poco il morale delle armi italiane. Essendo un buon nuotatore, il giovane ufficiale pensa che non gli sarebbe così difficile superare gli sbarramenti di una base navale nemica; portandosi dietro una carica esplosiva. Ne è così convinto che progetta allo scopo una mina e, mentre questa viene costruita, si allena per vari mesi percorrendo a nuoto, ogni notte, una distanza di dieci chilometri tirandosi dietro un barile vuoto.
Raffaele Paolucci Raffaele Rossetti A Venezia, un altro ufficiale della Regia Marina appartenente al Corpo del Genio Navale, il maggiore Giovanni Raffaele Rossetti la pensa allo stesso modo ed infatti ha progettato un siluro dalle caratteristiche piuttosto speciali: è mosso da un motore ad aria compressa che consente una velocità dì 3 nodi e una autonomia massima di 10 miglia ed ha una "testa carica", cioè una parte anteriore composta di due sezioni che si possono staccare dal siluro e che contengono ciascuna due potenti magneti oltre a 170 chili di alto esplosivo. Lo scopo è di farle aderire alla carena di acciaio di una nave e attivare personalmente la carica esplosiva ad orologeria. Per fare ciò è necessario che il siluro venga guidato personalmente dall'uomo che attiverà l'esplosivo da cui la denominazione di siluro umano.
Disegno della "mignatta" dal sito della Marina Militare AI Ministero della Marina si è al corrente dei progetti dei due ufficiali e si decide di unire gli sforzi: Paolucci collaborerà con Rossetti per operare utilizzando la "mignatta" nome tecnico dato al primo siluro umano che nel frattempo è già stato approntato all'uso. Nella sera del 31 ottobre 1918, i due ufficiali lasciano Venezia a bordo di un cacciatorpediniere diretto verso Pola. In vicinanza della costa il caccia mette a mare il siluro ed il motoscafo con motore elettrico che dovrà rimorchiarlo. Rossetti e Paolucci, indossate le loro tute di gomma nera, saltano nel motoscafo che ha preso a rimorchio la mignatta, e si allontanano velocemente verso la costa nemica. Quando la nera insenatura è abbastanza vicina, i due ufficiali si calano in acqua e raggiungono a nuoto il siluro mentre il motoscafo si allontana. È una notte senza luna e piove a dirotto: condizioni ottimali perché il siluro non può immergersi ed è costretto a navigare in superficie. I due uomini a cavallo del siluro raggiungono il primo sbarramento. Calatisi in acqua, tagliano i cavi della rete per creare un varco sufficiente a far passare il siluro. In questo modo, tagliando una rete dopo l'altra, riescono a superare i primi sette sbarramenti, nonostante la fatica dell'estenuante lavoro e la corrente contraria. Ora sono dentro il porto, superano altri tre sbarramenti aggirandoli accostandosi a terra, e finalmente compaiono le ombre maestose e cupe delle corazzate nemiche. Alle 4.50 del 1 novembre, dopo sette ore di lavoro in acqua, si trovano di fronte alla corazzata Viribus Unitis, la nave ammiraglia della squadra austriaca. Rossetti fissa una delle cariche sotto la chiglia della corazzata e regola la spoletta. Ma sono stati scoperti e dalla nave viene lanciato l'allarme. Per non far cadere il siluro nelle mani del nemico attivano la carica esplosiva rimasta e allontanano l'ordigno. Un proiettore li illumina e in breve vengono tratti da una barca e trasferiti sulla corazzata. Un assonnato ufficiale li interroga ma inutilmente, solo nell'imminenza dell’esplosione Rossetti e Paolucci avvertono il comandante Vukovic che la nave sta per saltare in aria. Molto cavallerescamente il comandate chiede la loro parola d’onore quindi ordina di abbandonare la nave. Rossetti e Paolucci si gettano in acqua e si allontanano a nuoto. Tutti sono in attesa dell'esplosione che però tarda, e dopo un certo periodo il comandante, in preda all'ira, ordina il ritorno a bordo. Quando Rossetti e Paolucci stanno per essere ricondotti davanti al comandante, una tremenda esplosione fa sussultare la corazzata; Io scafo è sventrato e l'acqua entra a fiotti. Tutti gli uomini, compresi i due italiani, sono di nuovo in acqua ed assistono all’affondamento della grande unità che in soli dieci minuti si scompare. L'orgoglio della Marina austro-ungarica, 21.000 tonnellate di acciaio, colate a picco da un misero siluro da 800 chili!
L'unica immagine dell'affondamento della Viribus Unitis conosciuta Il siluro, che nel frattempo era andato alla deriva con la carica esplosiva attivata, va a colpire Io scafo del transatlantico Wien che in poco tempo affonda.
La SMS Viribus Unitis nel 1912
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